La consigliera velata Pd che sostiene Sala è legata agli islamisti
Adesso è ufficiale: a Palazzo Marino, nel consiglio comunale di Milano, siede un’esponente del Pd legata ai Fratelli Musulmani, l’espressione storica dell’estremismo islamico di Hamas.
Si chiama Sumaya Abdel Qader, si presenta in aula col velo. E nell’agosto 2016 aveva denunciato le aggressioni giornalistiche e politiche che l’avrebbero accusata falsamente di appartenere all’ala più oscurantista dell’Islam.
Ieri, il giudice preliminare Guido Salvini accogliendo la richiesta del pm Leonardo Lesti, archivia la denuncia. L’indagine era formalmente contro ignoti, ma nella querela della Abdel Qader gli avversari che l’avrebbero accusata falsamente vengono indicati uno per uno: quotidiani – compreso il Giornale, cui vengono rinfacciati ben otto articoli – e settimanali, siti di informazione e blogger. E nel mirino della querela c’era persino una ex compagna di partito della donna, anch’essa di fede islamica, Maryan Ismail: colpevole di essersi contrapposta alla Abdel Qader in nome dell’Islam laico e moderato. Secondo la Ismail il Pd candidando Sumaya aveva «scelto di fatto di schierarsi con la parte minoritaria ortodossa e oscurantista dell’Islam». Querela anche per lei.
La Abdel Qader, in sostanza, nella querela si proclamava vittima di una vasta e trasversale macchina del fango, che si sarebbe messa in moto per «creare nell’opinione pubblica mediante continue e reiterate allusioni l’idea dell’esistenza di collegamenti, in realtà inesistenti, tra gli odierni querelanti – ovvero Sumaya e suo marito, il siriano Abdallah Kabakebbji – e l’estremismo islamico».
Nel decreto di archiviazione depositato ieri dal giudice Salvini, si premette che gli articoli querelati «sono espressione del diritto di critica, che consente giudizi e valutazioni anche enfatizzati e corrosivi». Ma poi il giudice si spinge più in là, entrando nel merito delle accuse circostanziate che venivano mosse dalla stampa moderata nei confronti di Sumaya Abdel Qader. Si tratta delle notizie che Pierfrancesco Majorino, uomo di punta del Pd milanese e assessore al welfare, aveva liquidato come «un’operazione squallida e grave totalmente inventata». Peccato che invece fosse tutto vero.
Il giudice ricostruisce come, secondo gli articoli, i rapporti tra la consigliera e i Fratelli Musulmani fossero dimostrati dal suo ruolo nella Fioe, la federazione europea delle organizzazioni islamiche, e dalla Fenyso, la sua costola giovanile e studentesca. La Abdel Qader ammette di avere effettivamente fatto «in passato» parte della Fioe, però esclude legami tra questa e i «Fratelli». Nel corso dell’inchiesta, però, è stata utilizzata come consulente una delle maggiori esperte italiane di Islam, Valentina Colombo. Ed è emerso come a indicare nella Fioe la colonna in Europa dell’operato islamico sia stato direttamente Ibrahim Mounir, vice-guida suprema della Fratellanza; «inoltre esiste un’ampia letteratura che conferma il legame della Fioe con la Fratellanza».
Allo stesso modo, scrive il giudice, non risultano smentiti altri episodi significativi dell’entourage familiare della donna: il post con cui si marito proponeva di applicare allo Stato di Israele la procedura «Ctrl+Alt+ Canc», ovvero cancellarlo; o quelli di sua madre inneggianti alle Brigate Ezzedin el-Qassam, braccio armato di Hamas, con foto di combattenti con «cappucci, lanciarazzi e sulla fronte la fascetta dei candidati al martirio». «Anche in questo caso – scrive il giudice – il contenuto obiettivo del post non è stato smentito».