La censura sul Muro: ora è vietato parlare di comunismo a scuola

Sono passati trent’anni dal giorno della caduta del Muro di Berlino, quel 9 novembre del 1989 che per molti è un ricordo degli occhi e del cuore, ai ragazzi è stato tramandato tra racconti familiari e The Wall dei Pink Floyd, per tutti è una data entrata nei libri di storia e nei testi che si studiano a scuola.

Eppure la condanna del comunismo divide ancora, e capita, è capitato ieri che in commissione Cultura alla Camera si dibatta un’intera seduta per censurare l’espressione «dittatura comunista» di stampo sovietico, e proprio in un testo che vuole impegnare il governo a verificare che nelle scuole si celebri realmente il «Giorno della libertà» istituito nel 2015.

A opporsi all’espressione «dittatura comunista» è stato Nicola Fratoianni di Sinistra italiana, l’area della maggioranza più radicale che fa riferimento a Leu, sostenuto dal sottosegretario al Miur, Giuseppe De Cristofaro, ex parlamentare di Rifondazione comunista oggi esponente di governo di Si. Non è caduta «la dittatura comunista», ma «la dittatura del socialismo reale», la tesi sostenuta dagli esponenti di Sinistra italiana. È così partita una battaglia da azzeccagarbugli che ha impedito di arrivare a una risoluzione condivisa. Si spera che oggi un ritorno alla realtà di ciò che è stato riporti il comunismo nel testo, così da arrivare a una mozione unitaria. Ma nel frattempo la commissione Cultura della Camera, a trent’anni dalla caduta del Muro, è rimasta travolta per un giorno dalle vecchie macerie, a dibattere se quel 9 novembre a Berlino fosse davvero caduta la dittatura comunista o il socialismo reale.

La risoluzione contestata è stata presentata da Fratelli d’Italia, con Paola Frassinetti come prima firmataria, dalla Lega con Daniele Belotti e da Forza Italia con Valentina Aprea. «Il 9 novembre ha rappresentato per milioni di persone il giorno della ritrovata libertà dopo decenni di dittatura comunista» il passaggio che ha fatto inciampare i parlamentari della sinistra radicale.

Le risoluzioni presentate per la discussione congiunta, con l’intenzione di fonderle in una sola, sono state tre: una di maggioranza, una seconda a firma di Alessandro Fusacchia di +Europa, confluita nella risoluzione della maggioranza, e la risoluzione del centrodestra, la prima a essere depositata e quindi discussa. Si lavorava agli impegni per stendere una risoluzione unitaria quando si è levata l’opposizione dell’area radicale di Leu alla «dittatura comunista». Uno stop inatteso che ha riportato indietro di decenni l’orologio della storia.

«Dopo la risoluzione del Parlamento europeo, il comunismo è equiparato ad altri totalitarismi. Per questo, la censura è da ritenersi odiosa e inaccettabile. Sotto la cortina di ferro del comunismo, sono morte milioni di persone» è la protesta sulle labbra di Federico Mollicone, capogruppo di Fdi in commissione Cultura. «È vergognoso come questo governo non ammetta la parola comunismo, come se nulla fosse accaduto. Quanto avvenuto in commissione Cultura è inaccettabile» commenta il leghista Belotti, capogruppo del suo partito in Commissione. E l’azzurra Valentina Aprea parla di «revisionismo storico» e aggiunge: «È fondamentale insegnare alle giovani generazioni che con la caduta del Muro ci siamo liberati dalla dittatura comunista di stampo sovietico. Noi combattiamo tutti e tre i totalitarismi del Novecento: comunismo, fascismo e nazismo. E nei Paesi del blocco sovietico la gente è stata privata della libertà a causa del comunismo».