La Cei boccia la legge sull’omofobia: “È inutile e apre a derive liberticide”

Una nuova legge contro l’omofobia non serve. A dirlo sono i vescovi italiani, che con un comunicato diramato stamane entrano nel dibattito politico sui testi di legge contro l’omobitransfobia in discussione in questi giorni alla Camera.

Un tema, quello al centro delle proposte di legge che dovrebbero essere votate il mese prossimo, su cui la presidenza della Cei non si riscontra “alcun vuoto normativo” e “nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni”.

“Al riguardo – si legge nella nota – un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”. La preoccupazione dei vescovi, al contrario, è che “un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui, più che sanzionare la discriminazione, si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte”.

Insomma, con misure come quelle che verrebbero introdotte dai ddl Boldrini, Scalfarotto e Zan, si rischia, continua la Cei, di “sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma, e non la duplicazione della stessa figura, significherebbe introdurre un reato di opinione”. “Ciò – prosegue il comunicato – limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso”.

Ricordando l’importanza del contrasto a tutte le discriminazioni, “comprese quelle basate sull’orientamento sessuale”, che “costituiscono una violazione della dignità umana”, i vescovi sottolineano la necessità di “promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona”, “oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore”.

“Su questo – aggiunge la Cei – non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto”. Ne va, scrivono i vescovi italiani, del “rispetto della persona” e della “democraticità del Paese”. Ma le reazioni politiche, dopo la dura presa di posizione della Chiesa, non si sono fatte attendere.

La grillina Francesca Businarolo, presidente della commissione Giustizia della Camera, si dice “sorpresa”. “Affermare, come fanno i vescovi italiani, che esistono già adeguati presidi per contrastare questo fenomeno significa non voler prendere atto di una dura realtà di discriminazione nei confronti della quale noi sentiamo la responsabilità politica ed etica di intervenire”, attacca la deputata del M5S.

Dello stesso avviso anche il collega e compagno di partito Mario Perantoni. “Quella alla quale stiamo lavorando – ha detto il deputato pentastellato – è una legge che si propone di offrire maggiori tutele e rappresenta un approdo di civiltà, non qualcosa da temere o da guardare con sospetto”. I “presidi con cui prevenire comportamenti violenti o persecutori”, aggiunge, esistono già, “ma sono ben lontani dall’essere del tutto adeguati, come dimostrano i fatti”. Per questo secondo Perantoni “intervenire” è necessario.

A plaudere all’intervento dei vescovi è invece il senatore leghista Simone Pillon che chiede al governo di tenere conto “della preoccupazione dei vescovi sulla deriva liberticida in corso. “Non serve nessuna legge – incalza – già oggi il codice penale punisce atti di violenza e discriminazione”. “È molto pericoloso e discriminatorio – aggiunge- limitare la libertà di tutti per privilegiare le ideologie di pochi”.

Anche la capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Giustizia, Carolina Varchi, concorda nell’affermare che “le osservazioni della Cei colgono nel segno”. “Piuttosto – attacca – sorprende che ancora una volta la collega Businarolo abbandoni il suo ruolo istituzionale di presidente della commissione per scendere in campo con la maglia della sua squadra, non garantendo il necessario ruolo di imparzialità”.