Jennifer Sterlecchini, uccisa dall’ex a coltellate: “Per lei non ci sarà mai giustizia”

“Jennifer era una ragazza solare, che sorrideva sempre e chiunque l’abbia mai incontrata ricorda la sua risata”. Ma ora, nessuno può più sentire quella risata. Jennifer Sterlecchini è morta a 26 anni il 2 dicembre del 2016, uccisa con 17 coltellate dallo stesso uomo che diceva di amarla.

“Ho sentito le urla di Jennifer”

Quel 2 dicembre, Jennifer era tornata nella casa di Pescara in cui aveva convissuto con Davide Troilo, che per tre anni era stato il suo ragazzo.

Quel giorno, la 26enne avrebbe dovuto ritirare i suoi effetti personali, dopo la rottura della loro relazione. “Si era lasciata da 4 giorni con il suo assassino – racconta la mamma, Fabiola Bacci, al Giornale.it – Lui la chiamò per andare a riprendersi le ultime cose, Siamo andati io, lei e una sua amica. Lui all’inizio era tranquillo, ci ha aiutato a portare fuori la lavatrice, Jennifer era serena”. Poi è stato un attimo: “Mi ha detto di andare a prendere la macchina e lui ha chiuso la porta, quando sono tornata ho sentito solo le urla di mia figlia. E poi è successo quello che è successo”.

Davide Troilo, 32 anni, prese un coltello e sferrò alla ragazza 17 colpi. Quando finalmente un vicino di casa, richiamato dalle urla della madre di Jennifer, riuscì a entrare nell’appartamento, si trovò davanti il corpo della ragazza, steso al fianco di quello di Troilo, anche lui ferito. Il 32enne venne trasportato in ospedale, dove rimase ricoverato per ferite non gravi. Secondo il racconto dell’uomo, i due si sarebbero spinti reciprocamente durante un litigio, che sarebbe iniziato per decidere chi dovesse tenere un tablet e, una volta finiti a terra, Jennifer si sarebbe ferita al collo con un coltello, esasperata dalla situazione e successivamente emulata dall’ex fidanzato che, per difendersi, l’avrebbe colpita a sua volta. Una versione, quella sostenuta da Davide Troilo, che fin dall’inizio non aveva convinto gli inquirenti e alla quale nemmeno i giudici hanno creduto. “Non c’è stata nessuna litigata – ha precisato la mamma di Jennifer – non ho mai sentito la voce dell’assassino, ma solo le urla disperate di mia figlia”.

La vicenda aveva lasciato sconvolti famigliari e amici, ma anche tutta la comunità di Pescara, dove Troilo era conosciuto come una persona tranquilla, padre di un bambino avuto da una precedente relazione. Lui e Jennifer erano stati fidanzati per tre anni e insieme avevano dovuto affrontare eventi drammatici e difficoltà lavorative, che avevano minato la serenità della coppia. Ma prima di quel 2 dicembre 2016, Davide non aveva mai manifestato alcun comportamento violento: “Non c’era mai stato nessun episodio di violenza – racconta la mamma della ragazza – Mai niente. È questa la cosa assurda”.

I processi

Il 24 gennaio del 2018, Davide Troilo venne condannato in primo grado, tramite rito abbreviato, a 30 anni di reclusione, per omicidio volontario, aggravato dai futili motivi. Secondo il legale del fratello di Jennifer, Jonathan Sterlecchini, “Troilo ha mentito fin dall’inizio e invece di soccorrere Jennifer ha inscenato una presunta aggressione, cercando di mitigare la propria posizione processuale”. La perizia psichiatrica sull’accusato,riportata dal Pescara, inoltre, aveva dimostrato la capacità di Troilo di intendere e di volere al momento dell’omicidio: “Non è stato affetto, al momento del compimento dell’atto delittuoso, da patologie psichiatriche, ovvero da elementi clinici di sufficiente valore psicolpatologico, in particolare psichiatrico-forense, che possano consentire di affermare che sussistessero aspetti di malattia mentale tali da configurare una condizione di interesse medico-legale ai fini dell’imputabilità, ovvero incidendo o diminuendo la capacità di Troilo di intendere e volere”.

Il 14 marzo del 2019, la Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila confermò la condanna a 30 anni di reclusione. Lo fece rigettando la richiesta del difensore di Troilo, sull’esclusione dell’aggravante dei futili motivi, che avrebbe permesso all’imputato di usufruire delle attenuanti generiche. Ma, secondo i giudici, come riportato dal Centro, “le modalità di esecuzione del reato (inflizione alla vittima di ben 17 colpi di coltello), la dimostrata capacità dell’imputato di alterare le prove a suo carico al fine di simulare un’aggressione reciproca, financo autoinfliggendosi lesioni, e il precedente penale a suo carico per reati contro la persona, ostano alla concessione delle attenuanti generiche”. Infatti, “non può non rilevarsi che la riferibilità della condotta omicidiaria alla mancata restituzione del tablet è desumibile dalle dichiarazioni dello stesso imputato, sul punto reiterate e sostanzialmente concordanti”. La conclusone a cui erano arrivati i giudici di secondo grado era che l’imputato “dopo aver chiuso la porta d’ingresso del proprio appartamento, avesse aggredito la Sterlecchini colpendola con un coltello da cucina (anche in zone vitali, alcune mortali), si fosse quindi recato in bagno dove si era inferto dei leggeri colpi di coltello, e avesse poi fatto ritorno nella zona d’ingresso dell’abitazione, aperto la porta e distesosi accanto al corpo di Sterlecchini”. Confermata anche la perizia psichiatrica precedente, richiesta dal gup del tribunale di Pescara.

“Non ci sarà mai giustizia”

Dopo la decisione della Corte d’Appello, il legale di Troilo aveva presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando l’aggravante dei futili motivi, la mancata concessione delle attenuanti generiche e il mancato accoglimento della richiesta di una nuova perizia psichiatrica per Troilo. Lo scorso 18 settembre, la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna a 30 anni di reclusione, in relazione all’aggravante dei futili motivi, e ha disposto il rinvio alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia.