Il sindaco “nostalgico” zittisce l’Anpi: “È ai miei cittadini che devo render conto”

“Se a Roma dovessero costruire un museo del calcio, secondo lei, lo intitolerebbero a Francesco Totti oppure a Renato Portaluppi?”.

Utilizza una metafora calcistica Ercole Viri, primo cittadino di Affile, per rivendicare la scelta di intitolare un museo di 36 metri quadri al generale Rodolfo Graziani, originario proprio di quelle terre. Una decisione che non è certo passata in sordina.

Il piccolo comune del Lazio che amministra è finito sotto i riflettori dei media di mezzo mondo e lui alla sbarra con l’accusa di apologia del fascismo assieme agli assessori Giampiero Frosoni e Lorenzo Peperoni. Un’odissea giudiziaria cominciata nel 2012 da una denuncia dell’Associazione nazionale partigiani, che si è costituita parte civile nel processo, e proseguita con due verdetti di condanna, in primo e secondo grado. È stata la Cassazione a scrivere l’ultima pagina di questa vicenda, annullando con rinvio le precedenti sentenze.

Il sindaco è incredulo. “Sinceramente non me l’aspettavo, stavolta però non mi hanno dedicato neppure una pagina del New York Times”, dice estraendo da una pila di scartoffie una copia del prestigioso quotidiano newyorkese che all’epoca si interessò alla vicenda. “Vede? Questi sono tutti gli articoli che hanno scritto su di me, dipingendomi come un novello dittatore, un pericoloso nostalgico, una minaccia per la democrazia. Adesso – continua – dove sono finiti tutti quelli che mi hanno dato addosso?”. Tacciono anche i principali accusatori.

Dall’associazione combattentistica, a cui il giudice di secondo grado aveva accordato un risarcimento di 8mila euro, non giungono dichiarazioni. È silente persino il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che aveva tempestivamente provveduto a interrompere l’erogazione dei fondi regionali, in parte utilizzati per realizzare il museo, e a inviare una missiva agli affilani nella quale prendeva le distanze dal progetto. Non ha detto nulla neppure il deputato dem Emanuele Fiano, che il 25 aprile del 2013, in vista delle elezioni comunali, venne a comiziare proprio ad Affile.

“Li ho ammutoliti tutti”, scherza il sindaco che nel frattempo è stato riconfermato per la terza volta alla guida della città. “La mia rielezione è la prova inconfutabile che i cittadini sono con me ed io è a loro che devo rendere conto, non di certo all’Anpi”, ci tiene a specificare. “Rodolfo Graziani qui ad Affile è un’istituzione, è il concittadino più illustre che abbiamo mai avuto, è per questo che ho intitolato a lui il piccolo museo dedicato ai soldati affilani dei due conflitti mondiali, lì dentro – dice con una punta di soddisfazione – c’è pure la croce di guerra di mio nonno che ha combattuto in Africa, così come i cimeli donati dalle famiglie dei miei concittadini”.

Nessuna nostalgia del Ventennio. È questione di orgoglio strapaesano. “È un tributo alle gesta di un concittadino che si era distinto per coraggio e valore ben prima dell’avvento del fascismo, ma chi non è di qui – assicura – non può proprio capire”. Adesso che la giustizia lo ha riabilitato però c’è ancora un dubbio. Una domanda che accompagna il sindaco da quando ha visto il suo nome comparire nero su bianco nell’elenco degli indagati. La condivide con noi: “Perché quando il museo del fascismo lo fa un’amministrazione di centrosinistra, come è successo a Predappio, le procure non si muovono, mentre se un’amministrazione di centrodestra realizza un bugigattolo di 36 metri quadri si finisce in tribunale?”.