Il pericoloso regalo di Strasburgo alla Cina dietro lo stop a diesel e benzina

C’è un vincitore indiretto del voto del Parlamento Europeo che metterà al bando nel 2035 i motori diesel e benzina nell’Unione Europea, consegnando tutto il mercato all’elettrico. Quel vincitore si chiama Cina. Paese che, con lungimiranza, da anni si è posizionata nel migliore dei modi per dominare totalmente le filiere produttive e industriali legate alla transizione energetica. Sul fronte del fotovoltaico, dell’eolico, della componentistica ad alto livello tecnologico Pechino ha un peso fondamentale. Su quello dell’auto elettrica è semplicemente dominante.

In sostanza, dalla dipendenza odierna del continente europeo dal gas russo si potrà passare, nell’era della transizione, a quella verso le batterie elettriche cinesi. “È un po’ quello che succede con l’Opec per quanto riguarda il petrolio”, ha dichiarato a Libero il direttore di “Al Volante” Guido Costantini. “Sono i cinesi che dominano il settore non solo dell’estrazione dei metalli rari e delle materie prime che servono a realizzare le batterie, ma ne sono anche i leader della prima lavorazione”, fondamentale per condurre a mercato componenti e tecnologie. “Quando si parla di gigafactory, alla fine parliamo di assemblaggio, ma il grosso viene fatto a monte: cioè a Pechino e dintorni”, e Pechino si è mossa in anticipo per condizionarli.

Gli stravolgimenti in termini di catena del valore rischiano di mettere in secondo piano su scala globale l’Europa, terra di origine di alcune delle più avanzate case automobilistiche e relative catene di subfornitura al mondo. Una catena avente al centro la Germania, seguita da Italia, Francia, Spagna e Svezia e, come piattaforme per l’indotto, dai Paesi dell’Europa orientale. “La messa al bando dei motori a combustione interna dal 2035 equivale infatti a puntare tutto sull’auto elettrica, consegnando di fatto la filiera europea dell’automotive alla dipendenza dalla Cina” ha dichiarato durante l’analisi del provvedimento approvato da Strasburgo l’eurodeputato di Forza Italia Massimiliano Salini. Del resto da tempo, anche nella definizione del piano europeo Fit for 55, è emersa nella corsa comunitaria alla sostenibilità la compresenza tra un’anima pragmatica ed una fortemente utopistica e mediatica. La vittoria della prima sulla seconda appare conditio sine qua non per realizzare una transizione realmente efficace ed efficiente, ma il voto di Strasburgo segna uno stop in questo processo.

Costantini, citando i ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani, parla di 300mila posti di lavoro messi a rischio. Un problema sottolineato, tra gli altri, anche da importanti imprenditori del settore come Marco Bonometti, presidente del gruppo Omr nonché membro del consiglio generale di Confindustria. Tutto questo in nome di una scelta ideologica che non aiuta affatto l’ambiente: “Se è vero che l’auto elettrica non emette anidride carbonica tuttavia per produrla, dalla scocca, alla piattaforma, agli interni fino alla batteria – il componente chiave del prodotto – vengono attivati processi complessi che emettono la fatidica Co2 e altre sostanze inquinanti”. Oltre al danno la beffa.

E Pechino ride. La Cina ad oggi produce il 60% delle batterie mondiali e controlla l’80% del commercio internazionale del settore. Un analista esperto del tema come Daniel Clarke ha detto a Forbes che Pechino in quest’ultimo campo ancora nel 2026 manterrà una quota elevata stimata tra il 60 e il 65% “a dispetto dei migliori sforzi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea” e che nonostante tutti gli impegni comunitari, nel 2035 le gigafactory comunitarie produrranno al massimo il 7% del fabbisogno dei 27 Paesi Ue. Oltre metà di tutte le batterie elettriche prodotte in Cina sono allocate su un solo produttore, CATL (Contemporary Amperex Technology Co. Limited), che da sola produce il 32,6% delle batterie al litio su scala globale.

CATL nel 2021 ha prodotto batterie con capacità di accumulo di 96,7 GW su un totale di 296,8 GW installati su scala globale, una crescita anno su anno del 167,5% e punta a superare i 500 GW di produzione nel 2025 e gli 800 nel 2030. Il principale produttore al mondo, nota InsideEv, punta il mercato europeo ed è “fresco tra l’altro di approvazione per avviare i macchinari del suo primo impianto nel Vecchio Continente, che sorge nella zona industriale di Erfurter Kreuz, in Germania, e vanta una capacità iniziale di 8 GWh all’anno, per diventare successivamente 24 GWh. Ma il gigante asiatico lavora anche in patria, dove ha già messo in funzione il suo stabilimento più grande, a Fuding. Al momento, produce fino a 60 GWh, ma per il futuro punta a raddoppiare e arrivare a 120 GWh. Nella stessa provincia, Fujian, sarà ingrandita la fabbrica a Xiapu, mentre un’altra ne nascerà prossimamente”.

Anche una grande concorrente di CATL, l’americana Lithium Werks, si è data l’obiettivo di 500 GW per una fabbrica che oggi ha una base di partenza di 8 GW. Il problema è che anche gli statunitensi ragionano su una gigafactory sita a Zhenjiang, sempre nel territorio dell’Impero di Mezzo. La dominazione cinese in materia di costo del lavoro, tecnologie, materie prime e impianti è schiacciante. E nessuna forzatura nella transizione potrà ridurla nel breve o medio periodo. Tutto questo è stato ignorato dai decisori europei che hanno forzato l’approvazione del provvedimento di Strasburgo.