Guerra Israele-Iran, Meloni convoca intelligence e forze armate: i timori dell’Italia
Di fronte a un Medio Oriente sempre più in bilico sull’orlo del baratro, l’Italia adotta una linea cauta e calibrata, nel tentativo di non farsi trascinare in un eventuale conflitto tra Stati Uniti e Iran. In queste ore convulse, segnate da indiscrezioni su un possibile attacco statunitense al regime degli ayatollah, Roma ha voluto chiarire, senza ambiguità, che non è pervenuta alcuna richiesta ufficiale da parte di Washington sull’utilizzo delle basi militari presenti sul territorio italiano. E se mai dovesse arrivare, ogni azione dovrebbe comunque passare per un’esplicita autorizzazione del governo italiano.
Una posizione, quella dell’esecutivo, che si muove tra prudenza diplomatica e realismo geopolitico. Da Aviano a Vicenza, da Napoli a Sigonella: le strutture militari in questione sono note per la loro rilevanza strategica, ma il loro eventuale impiego contro Teheran non può essere dato per scontato. Anche perché sul campo, in zone nevralgiche come Iraq e Libano, operano attualmente contingenti italiani, e un coinvolgimento diretto rischierebbe di esporli a gravi ritorsioni. Non è un caso se, nei giorni scorsi, lo stesso apparato iraniano ha lasciato intendere che anche paesi europei potrebbero divenire bersaglio, qualora partecipassero in qualunque forma all’offensiva israeliana o statunitense.
Meloni vede i vertici di intelligence e forze armate
Giorgia Meloni, in questa fase, preferisce mantenere un profilo basso. Dal G7 canadese, prima di rientrare in Italia, ha fatto sapere che eventuali decisioni sull’uso delle basi non saranno assunte “così, su due piedi”, ma solo “se e quando sarà il caso”. Un modo, questo, per guadagnare tempo e lasciare aperta ogni opzione, mentre l’intelligence continua a monitorare uno scenario in rapida evoluzione. Le speranze di Palazzo Chigi restano affidate a un possibile ritorno alla diplomazia, per quanto fragile possa sembrare: si punta sull’Oman come mediatore silenzioso ma efficace, già protagonista in passato nei negoziati tra Teheran e Washington.
Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha preferito glissare sulle domande più spinose. Interpellato dai giornalisti, ha rimandato ogni risposta al mittente: “L’intervento Usa in Iran? Chiamate Washington e chiedete…”. Dietro il tono sornione, però, si cela la consapevolezza della gravità della posta in gioco: lo scontro con Teheran potrebbe significare il blocco dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un terzo del greggio mondiale. Ecco perché Tajani continua a muoversi sottotraccia, mantenendo vivi i contatti con i partner regionali e cercando di salvaguardare l’interesse nazionale con un approccio pragmatico.
Nel frattempo, le mosse degli altri paesi europei stanno alimentando ulteriori interrogativi. Madrid, ad esempio, ha già autorizzato l’arrivo di bombardieri e aerei cisterna statunitensi nelle basi andaluse di Moron de la Frontera e Rota. Una mossa che non è passata inosservata a Roma. Proprio per questo, la premier Meloni, una volta rientrata nella capitale, ha intensificato i briefing con i vertici della Difesa e dell’intelligence.
E a margine del salone aerospaziale di Le Bourget, il ministro Guido Crosetto ha incontrato i colleghi britannico e francese, per rinsaldare un asse europeo volto a contenere il rischio di un’escalation incontrollabile. “C’è la volontà di compiere ogni sforzo per evitare un’escalation dei drammatici conflitti in corso”, ha dichiarato Crosetto, facendo eco al sentimento dominante a Palazzo Chigi: evitare che la miccia accesa in Medio Oriente arrivi ad esplodere anche nel cuore dell’Europa.