Genova, famiglia Sinti “nullatenente” aveva 7 case, 9 macchine, 24 conti correnti con 2 milioni di euro

 

Genova – In quattro – marito, moglie e due figli – avevano sette case, nove macchine, 6 attività commerciali, e 24 conti correnti, con 2 milioni di euro di liquidità. Non se la passavano male insomma gli Alaflueur, famiglia sinti con interessi e affetti sparsi tra Genova e la provincia di Asti, nonostante risultassero formalmente nullatenenenti e sconosciuti al Fisco. Per il tribunale di Genova, che ieri ha convalidato la confisca preventiva di quel tesoro, quel le somme non sono nemmeno lontanamente giustificabili con la versione raccontata dai diretti interessati, secondo cui quei soldi sono perlopiù i proventi (in nero) dell’attività di giostrai e rivenditori di rottami.*

In un’epoca politica precedente alle “ruspe”, quando andavano di moda i condoni fiscali, si è consumato anche uno strano paradosso: il nucleo familiare ha riportato in Italia 600mila euro di capitali dalla Svizzera, beneficiando dello scudo fiscale varato dal quarto governo Berlusconi, che governava con un largo centrodestra di cui faceva parte anche la Lega Nord. Al vivace attivismo finanziario della famiglia – che si divide tra il campo nomadi di Bolzaneto e una villetta bifamiliare ad Asti, dove gestisce anche una pizzeria – si aggiungono anche 209mila euro esportati in Irlanda dal figlio della coppia, che allora aveva appena quindici anni.

Al centro delle indagini ci sono Giacomo Alafleur, 55 anni, e svariati precedenti per furti in appartamento e truffe alle spalle, la moglie Rosa Vezzoso, e i due figli Maverik e Michelle, a cui era intestata una piccola fortuna. «Nel 2008 Maverik, quando era appena diciottenne – annotano i giudici – spese 96mila euro per l’acquisto di un caravan e di un’auto Audi». E, oltre a terreni e appartamenti, ad Asti ha recentemente edificato un «fabbricato su tre livelli, con relativi costi di urbanizzazione». Quanto alla sorella Michelle, sempre nel comune piemontese, possiede una villetta bifamiliare.

L’inchiesta, condotta da carabinieri e guardia di finanza e coordinata dal pubblico ministero Federico Manott i, ha portato al sequestro di oltre 13 milioni di euro di beni, a una decina di famiglie che gravitano nel campo nomadi della Valpolcevera. Misure preventive, ovvero basate sulla presunzione della «pericolosità sociale» delle persone colpite e sulla provenienza non giustificata di quei capitali, «provento di attività illecite o evasione fiscale».