Fratelli Bianchi e il “patto d’onore”: “Non dite che siamo scesi”

I fratelli Bianchi, condannati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, tentano di scampare all’ergastolo. L’ultima scoperta è quella di “un patto d’onore” sul come raccontare l’accaduto, ossia la morte per percosse del 21enne di Colleferro, Roma. Così lo chiama Repubblica, l’accordo che Marco e Gabriele Bianchi avrebbero stipulato per evitare la più dura delle condanne. I due, infatti, dopo l’omicidio sarebbero fuggiti a bordo del Suv su cui riuscì a salire anche Francesco Belleggia (Pincarelli tornò invece con l’amico con cui era arrivato a Colleferro) e rientrarono ad Artena dove, in un parcheggio lontano 300 metri dal locale del fratello maggiore, idearono il piano.

L’obiettivo? Far dire a tutti i presenti nella macchina che loro sono sì arrivati in via Bruno Buozzi ma non sono neanche scesi. Sono passati da lì e subito tutti quanti si sono precipitati in macchina. A riportare alla realtà i Bianchi ci avrebbe pensato un amico, che ricorda come quella sera ci fossero decine di testimoni. “Loro – confermerà Belleggia al giudice che gli chiede se è stato minacciato – sono un po’ così che cioè, come posso dire che ‘sennò annamo a finì in mezzo ai guai’, dato che avevano dei precedenti”.

Capito che il piano non può funzionare, Gabriele e Marco pensano a un’alternativa. Quale? Quello della “responsabilità è di tutti”. Ed è sempre Belleggia a “incastrare” i Bianchi. “Dite mo’, se ce vengono a cercà i carabinieri, che non siamo scesi, dite che vi siamo venuti a prendere perché c’era una rissa dove voi vi siete trovati coinvolti. Noi siamo rimasti in macchina, non dite che siamo scesi sennò ci collegano subito all’aggressione, e ci incolpano”, ha ammesso in Aula ricordando la contrarietà di chi era con loro: “Ma come famo a di’ ‘sta cosa? Hai visto la gente che c’era? Vi hanno visto tutti”.