Fazio s’attacca al bus per far la lezioncina pure sulla cittadinanza

Ramy e Adam. Adam e Ramy. Un applauso che non finisce più e tutti in piedi nello studio di Che tempo che fa.

Fabio Fazio fa ascoltare la telefonata ormai famosa di Adam: l’allarme lanciato dal pullman dirottato verso Linate, la drammatica conversazione con un carabiniere, pure presente nel salotto televisivo. Vengono i brividi a sentire la frase finale del ragazzino: «Non è un film». Il conduttore si complimenta: «Sei stato bravissimo». Luciana Litizzetto mette in testa a tutti e due il cappello da carabiniere. Potrebbe finire qua, con un quadretto tutta umanità, ma la cronaca politica è in agguato.

Escono gli eroi di Crema e Fazio introduce il direttore di Repubblica Carlo Verdelli. Poi sintetizza la storia: «Un italiano ha dirottato il pullman, due non italiani hanno salvato cinquanta persone». Certo, il fatto che l’autista sciagurato si chiami Osseynou Sy dev’essere un dettaglio trascurabile per la comprensione dei fatti, l’importante è che abbia il nostro passaporto. Ma non è questo il punto. La sostanza è che la trasmissione punta dritta su Salvini che in effetti se n’è uscito con una frase che avrebbe potuto risparmiarsi: «Ramy vuole lo ius soli? Quando avrà 18 anni si faccia eleggere e scriva la legge».

Siamo alla vigilia delle Europee e il tema dello ius soli torna ad infiammare il Palazzo. La sinistra, con il solito codazzo radical chic, prova a salire sul pullman per recuperare visibilità e centralità. Fazio insiste: «Ramy, che è egiziano, ha detto Sono felice se mi date la cittadinanza per meriti speciali, ma i miei amici rimarranno esclusi e invece anche loro sono italiani».

Il tema è complesso e si presta a strumentalizzazioni facili da una parte e dall’altra e però su Rai1 viene semplificato come un fumetto in cui si fronteggiano i buoni e i cattivi. «Ci sono un milione di bambini nella situazione di Ramy – aggiunge Verdelli – ma la cittadinanza dev’essere un diritto, non un premio». E invece siamo lontani dalla riforma che in studio viene considerata una priorità nazionale. «Il governo Renzi – ricorda Verdelli – aveva sposato lo ius soli, ma poi ha avuto paura per l’avvicinarsi delle elezioni e si è fermato». Quando ormai la meta era vicina.

Tutti bocciati e tutti senz’anima. Per aver spento il sorriso dei fanciulli innocenti. Nemmeno si spiega che migliaia di ragazzi in attesa dovranno pazientare solo qualche anno, perché al compimento del diciottesimo anno potranno chiedere quella cittadinanza che ora è ritenuta elemento di esclusione. Ma è davvero cosi? Forse il tempo aiuta a sondare e valutare l’integrazione che non è automatica né scontata. Non si tratta di alzare muri e barriere, ma di procedere con realismo, senza fughe in avanti, sulla strada maestra dell’inclusione.

In studio la questione è già scivolata via. Fazio e Verdelli parlano di Roberto Saviano e della querela che si è preso dall’onnipresente Salvini. «È grave – nota il direttore di Repubblica – che la querela sia arrivata su carta intestata del Viminale. Un leader politico quando diventa ministro, dev’essere ministro di tutti. Mio e tuo – conclude Verdelli rivolgendosi a Fazio – di tutti gli italiani. In questa vicenda c’è una sproporzione evidente».

Da fuori intanto Pif tiene viva la polemica numero uno, quella su Ramy e la frase infelice del vicepremier: «Abbiamo un ministro dell’Interno che fa il bullo con un ragazzino di 13 anni. Definirlo ministro della mala vita – aggiunge l’attore e regista palermitano – forse va al di là delle sue stesse capacità. È semplicemente un bimbominkia». Cosi, fra una bordata e l’altra, Ramy e Adam finiscono nelle retrovie. Dimenticati. O quasi.