“Farò tutto quello che posso”. Ora si muove il Papa

Pur di recarsi dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede, ossia, seppure formalmente, in un territorio considerato quello di un aggressore dal contesto occidentale, papa Francesco ha rinunciato alle udienze. Anche sorpassando alcuni aspetti protocollari che si sa, per Oltretevere hanno un peso specifico. Il Papa ha poi chiamato il presidente ucraino Voldymyr Zelensky, ha informato l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede per esprimere “il suo più profondo dolore per i tragici eventi che stanno avvenendo nel nostro Paese”. Telefonata confermata anche dallo capo di Stato ucraino che su su Twitter ha scritto che “il popolo ucraino sente il sostegno spirituale di Sua Santità”.

Quelle messe in campo dal vescovo di Roma sono soltanto le ultime delle azioni finalizzate alla pace. Perché stando a quanto si apprende da più fonti, il vertice della Chiesa cattolica si è messo a disposizione delle parti in conflitto per fare il possibile. Eventualmente pure da mediatore. Ma per ora, com’è noto, non sembrano esistere sviluppi diplomatici che possano essere definiti rilevanti in merito alla pacificazione.

Francesco ha manifestato tutta la sua preoccupazione in ambasciata. Il gesto a molti potrebbe sembrare scontato, ma in realtà la scelta del Papa non lo è affatto: se non altro perché la procedura avrebbe voluto prima un appello volto alla pacificazione nel corso dell’Angelus o comunque di un appuntamento canonico. E invece Jorge Mario Bergoglio, come ci ha spesso abituato durante questi nove anni di pontificato, ha guardato più ai fatti che alla tradizione, preferendo la concretezza alla forma. Perché mediare è un compito che il Vaticano, così come lo Stato d’Israele, potrebbero compiere con una certa naturalezza. E con quella imparzialità data anche dal fatto che lì è la Chiesa ortodossa, e non quella cattolica, a rappresentare l’architettura religiosa delle parti in conflitto.

Normale, quindi, che l’arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina Svjatoslav Ševčuk si definisca “grato” al pontefice e certo che dalla Santa Sede continui ad arrivare tutto l’impegno possibile. Come scrive Agensir, Shevchuk ha raccontato che il Papa, nella telefonata del 25 febbraio, lo ha chiamato per chiedergli della guerra, delle condizioni dei cittadini e della comunità cattolica. E alla fine il Santo Padre gli ha detto: “Farò tutto quello che posso”. Anche il cardinale e segretario di Stato Pietro Parolin ha garantito il pieno “sostegno” di Roma ai fratelli ucraini. “Chi vuole passare alla storia deve costruire la pace e non invece scatenare la guerra”, ha detto il proporato.

La vicinanza di un’istituzione immutabile, in un contesto così complesso, può sì rassicurare ma anche possedere un valore geopolitico. E quel “farò tutto il possibile” pronunciato al telefono da Francesco non può che suscitare qualche speranza.

Poi la necessità di stabilire un piano delle priorità. Se la pace è l’interesse supremo, l’accoglienza dei rifugiati che oggi chiedono asilo nel resto d’Occidente, e in particolare in Europa, non può che tramutarsi in un problema centrale nella pastorale pontificia. Vale per tutte le guerre del mondo, dunque anche per quella russo-ucraina. “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”, ha twittato il Santo Padre, citando una delle sue encicliche più paradigmatiche, cioè Fratelli Tutti. Per la prima volta della storia, un post social di un pontefice è comparso anche nelle lingue russa e ucraina.

L’ambasciatore della Russia in Vaticano, come ripercorso dall’Agi, smentisce che Francesco gli abbia parlato di un possibile ruolo di mediatore. Sono tuttavia molti gli attori internazionali e italiani che invocano questa eventualità. Il che è sostenuto pure in ambito ecclesiastico: “Stiamo vivendo momenti bui per l’umanità- ha detto padre Enzo Fortunato, che ha organizzato un pellegrinaggio virtuale, all’Adnkronos -. Prima la crisi economica poi gli scandali, la pandemia e la guerra. Quattro orizzonti che stanno mettendo l’umanità a dura prova. Davanti ai quali l’unica bussola è il Vangelo, sia per credenti che per chi non crede, e il Papa si sta facendo interprete nell’orientare questa umanità smarrita”.

La speranza del Papa non può che essere risposta – per usare le parole di Parolin – nell’esistenza di uno spazio in cui la “buona volontà”, ossia il prevalere delle ragioni diplomatiche su quelle belliche, possa ancora agire e prevalere per mettere fine al conflitto innescatosi con l’invasione di Vladimir Putin ma anche per evitare un non pronosticabile ma comunque possibile effetto domino. La Santa Sede guarda con angoscia e compassione a quanto accade a Kiev, ma ha anche un particolare rapporto diplomatico costruito con Mosca, sede non solo della Chiesa ortodossa russa, ma anche “terza Roma” con cui poter dialogare in modo diretto e su basi del tutto peculiari rispetto ad altre forze. Mentre la battaglia infuria sulla capitale ucraina e il mondo si divide in blocchi, chiunque possa apparire in grado di mediare ha un ruolo fondamentale: a partire dal Papa.