ELENA DEL POZZO, PARLANO GLI INQUIRENTI: LA PICCOLA HA LOTTATO FINO ALLA FINE

Un lavoro faticosissimo, quello degli inquirenti, perché il delitto di Mascalucia, quello della morte della piccola Elena Del Pozzo, oltre ad essere uno dei più efferati, è anche uno dei più complessi.

Martina Patti, la madre reo-confessa dell’accoltellamento a morte di sua figlia, è rinchiusa nel carcere catanese di Piazza Lanza, dopo la convalida del fermo, decisa dal gip Daniela Monaco Crea. Su di lei pendono accuse gravissime: omicidio premeditato e pluriaggravato e occultamento di cadavere.

E mentre la 23enne di Mascalucia è sorvegliata a vista ininterrottamente per paura che possa compiere atti autolesionistici, togliersi la vita o essere aggredita dalle altre detenute, gli inquirenti stanno dando voce ai troppi “non ricordo” che hanno accompagnato i suoi interrogatori, sino alla decisione di tenerla in carcere per paura che possa fuggire, inquinare le prove o, addirittura, reiterare il reato, ossia continuare ad uccidere.

La Patti non ricorda di aver deciso di andare nel campo prima di uscire, non ricorda cosa le sia passato per la mente quando ha colpito la figlia, anzi, può dire che non le è passato nessun pensiero, come se in quel momento fosse stata una persona diversa.

Quando ha colpito la “sua” Elena aveva una forza che non aveva mai percepito prima ma non ricorda la reazione di sua figlia mentre veniva colpita, forse Elena era ferma ma su questo la mamma killer ha un ricordo molto annebbiato. Dichiarazioni agghiaccianti, le sue, da far venire la pelle d’oca. La donna ha ammesso di aver preso la pala prima di uscire e di aver portato con sé i sacchi della spazzatura, in cui, come dei rifiuti, ha messo il cadavere della piccola Elena.

Sulla base di queste dichiarazioni, gli inquirenti, in tutti questi giorni, perché il tempo sta passando inesorabile, si sono fatti delle idee ben precise. Elena, lo ricordo, non c’è più e nessuno ce la dirà indietro, lasciando un padre orfano dell’amore più grande della sua vita. Gli inquirenti sono convinti che “Elena sia stata vittima di un preordinato gesto criminoso, meditato e studiato dalla madre“.

La Patti si era già procurata tutto l’occorrente per farla fuori e seppellirla: gli attrezzi per scavare la buca, un coltello, 5 sacchi neri della spazzatura, per poi condurre un “lucido depistaggio“. Un piano studiato passo per passo, premeditato, secondo loro, per condannare la figlia ad una morte lenta e straziante. La piccola Elena Del Pozzo, aggiungono, avrebbe tentato di opporsi e di salvarsi.

Nelle 15 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, scritte dal Gip, è riportato che la 23enne reo confessa “ha inferto più colpi di arma da punta e da taglio alla piccola Elena, che è stata vittima di una morte violenta particolarmente cruenta e probabilmente anche lenta, alla quale è anche verosimile ritenere, in mancanza di emergenze di segno difforme, che abbia in qualche modo e anche solo istintivamente tentato di opporsi e sfuggire”.

Ma quello scricciolo indifeso, che avrebbe compiuto 5 anni il 12 luglio, non è riuscita a fare nulla contro la determinazione della madre di ucciderla. Il giudice, in maniera netta, ha sottolineato che “Martina Patti voleva uccidere e si era rappresentata l’evento morte come unica conseguenza al suo gesto premeditato”, ritenendo che l’indagata fosse in condizioni fisiche e psichiche idonee ad agire.

Nonostante i tanti “non ricordo” disseminati per i suoi interrogatori, il gip è convinto della sua estrema lucidità quando ha commesso l’omicidio e ne ha occultato il corpo e che abbia premeditato il tutto prima di andare a prendere Elena, con un’ora d’anticipo, dall’asilo.