“Ecco perché abbiamo il record dei contagiati da Coronavirus”

Cosa si nasconde dietro l’appellativo di untore che l’Italia sta ricevendo? Matteo Bassetti ha provato a spiegarlo: “Ho l’impressione che, mentre negli altri Paesi europei in cui il Coronavirus è arrivato prima hanno cominciato a cercarlo da poco, qui in Italia, invece, ne siamo andati a caccia da subito e abbiamo cercato di stanarlo ovunque”.

Il professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Genova è in prima linea per tentare di contrastare le bufale che girano sul web: “Se continuiamo a concentrarci sugli asintomatici, ricoverandoli, la sindrome da lazzaretto continuerà a crescere”. Anche perché la sua tesi la va ripetendo da diverso tempo: “Bisogna cercare di evitare di guardare gli asintomatici ma concentrarsi sui casi più gravi di polmonite, soprattutto su quelli che all’apparenza non sono polmoniti classiche”.

Nell’intervista rilasciata a La Verità, il direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico genovese San Martino ha sottolineato che andando a mettere tutti i pazienti nelle strutture ospedaliere si potrebbe seriamente rischiare il collasso del sistema sanitario: per evitare questo drastico scenario, a suo giudizio sarebbe opportuno “concentrarci solo sui casi molto gravi”. Anche perché ha fatto notare che “i casi gravi, in realtà, sono circa il 15-20 per cento, quelli molto gravi, ovvero che hanno bisogno di assistenza ventilatoria, invece, sono solo intorno al 5 per cento”.

“Possiamo farcela”

L’infettivologo ha poi voluto parlare di numeri concreti: “Bisogna tenere bene a mente che il 98 per cento dei pazienti guarisce. E in Italia non ci sono così tanti morti”. Si tratta sicuramente di una nuova infezione, difficile da combattere e che produce molti pazienti con difficoltà a essere ventilati, ma ha voluto rassicurare: “Non è la Sars o Ebola”. Il docente di Malattie infettive ha poi preso in considerazione i dati delle polmoniti comunitarie: “Negli Stati Uniti si contano 2 o 3 milioni di casi, con 500.000 ospedalizzazioni e 45.000 morti. L’epidemiologia europea ci dice che abbiamo una incidenza tra 1,1 e 4 casi ogni mille abitanti e il 20 per cento di questi viene ospedalizzato”. Sulla base di questo si può affermare che le polmoniti “rappresentano la sesta causa di morte al mondo”

Bassetti infine ha criticato il modo (che ritiene errato) di contare i morti per il virus: “Contiamo chi muore con il Coronavirus, non per il Coronavirus. Abbiamo addirittura fatto i tamponi post mortem. Che senso ha? Gli altri Paesi non lo fanno”. Lui è convinto che “possiamo farcela”. A preoccuparlo non è il numero complessivo di positivi al Covid-19, ma il fatto che “un numero così alto sia arrivato in un così breve lasso di tempo”. Il momento resta piuttosto complicato: “I pazienti non gravi arrivano in ospedale e spesso vengono ricoverati. Rimandarli a casa, poi, diventa complicato, se non dopo diversi giorni”. La cura è il triage: “Concentrarsi sui casi più gravi, quelli che meritano davvero un ricovero”.

Cosa può succedere?

Come riportato dal Corriere della Sera, tre esperti hanno provato a illustrare i prossimi scenari e a spiegare quanto sta accadendo nel nostro Paese. Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, ha spiegato che osservando i dati epidemiologici appare evidente che “il virus ha cominciato a circolare in Italia alla fine di gennaio e si è ampiamente diffuso, restando sotto traccia, soprattutto nella cosiddetta zona rossa”. Il paziente zero non aveva alcun motivo di credersi infetto: “Il virus ha serpeggiato finché tutte le infezioni della prima ondata destinate ad aggravarsi sono arrivate all’attenzione del Servizio sanitario nazionale”. In Italia ci si è accorti del fuoco quando ormai “l’incendio aveva già bruciato gran parte del primo piano”, ma si è trattata di una situazione “casuale che sarebbe potuta avvenire in altre parti del mondo”.

Paolo Bonanni, ordinario di Igiene all’Università degli Studi di Firenze, ha ribadito che al momento non si è ancora venuti a conoscenza del motivo per cui “in Italia si sia verificato il picco di contagi e non siamo riusciti a ricostruire le tappe dell’arrivo dell’infezione, perché nei primi tempi non si è attivato il tracciamento dei casi con sintomi respiratori”. Da metà gennaio, anche nel Lodigiano, si sono verificati casi di polmoniti complicate, forse provocate dal nuovo virus. Il componente della Società italiana di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica non esclude la presenza di uno o più super diffusori: “Soggetti in cui il microrganismo si replica in quantità tale da poter infettare molte persone in tempi brevi”.

Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano, ha spiegato la situazione ricorrendo a una metafora: “Potremmo dire che ci siamo resi conto dell’iceberg solo quando è emersa la punta, ovvero il primo caso grave”. Solamente in quel caso sono stati eseguiti numerosi test sui soggetti a rischio, nel tentativo di tracciare il paziente zero e circoscrivere il focolaio. Sono stati individuati casi che in altre nazioni non sono stati presi in esame: “Molti Paesi infatti hanno scelto di sottoporre a tampone solo i soggetti sintomatici, in quanto più pericolosi in termini di trasmissione ad altri”. Inoltre va detto che l’epidemia “ha coinciso con un’epidemia influenzale caratterizzata soprattutto dai virus H1N1 e N3N2, che danno effetti respiratori pesanti”.

In questo preciso momento noi siamo più avanti nella storia dell’epidemia, probabilmente gli altri Paesi arriveranno successivamente. Stanno comunque beneficiando delle misure messe in atto. “Se poi i provvedimenti risulteranno efficaci potranno anche adottarli più precocemente rispetto a quanto si è potuto fare qui. Siamo a tutti gli effetti una sorta di laboratorio per le altre nazioni”, ha spiegato Bonanni. Infine Galli ha richiamato all’importanza del rispetto delle norme di precauzione: “Se non le seguiamo, pagheremo un prezzo molto alto”. Ora è il momento di “essere tutti attenti e disciplinati, evitando comportamenti ribelli e soluzioni individuali che potrebbero esporre a rischi seri”.