Ecco l’effetto ribaltone: riappare anche la Bindi

 

Non sono arrivati ancora i nuovi ministri, ma sono già tornati i vecchi fantasmi. In attesa di ribaltare il governo, il Pd ha iniziato a ribaltare gli archivi.

Ecco, insomma, il ritorno di Rosy Bindi. Uscita nel 2017 dalla scena politica per dedicarsi alla teologia, dopo 23 anni di Parlamento, cinque a Strasburgo, sei da ministro, quattro da presidente del Pd… Vabbè, avete capito, ieri la Bindi si è ripresentata al Nazareno e, come ai vecchi tempi, ha iniziato a rilasciare interviste, illustrare la linea: «Adesso andiamo a verificare se ci può essere un’intesa con i Cinque stelle». Nicola Zingaretti l’ha voluta in direzione dove, ha rivelato sempre la Bindi, «c’è stata unanimità intorno al nostro segretario» Il quotidiano La Repubblica l’ha invece intervistata in qualità di credente e quindi per far «sapere che è una profanazione l’uso che fa Salvini dei simboli religiosi». A La7, inseguita dai cronisti dell’Aria che Tira, ha anticipato che ci dovrà «essere discontinuità di programmi e persone», per intenderci, «niente Conte bis. Ma questo lo dite voi. Non fatelo dire a me». Ma non doveva coltivare il silenzio? Era il «voto» che aveva fatto ad Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano in un colloquio testamento per ribadire che «fare politica non è stato un mestiere» e ancora per confidare, come diceva Romano Prodi, suo amico e maestro, «che finora sono stata in tutti gli aeroporti del mondo. Ho girato tanto ma visto poco». Entrambi evidentemente si saranno annoiati dato che, uno, non fa che scrivere articoli per giustificare l’accordo M5s-Pd, l’altra, assicurare che un governo è necessario «non per disprezzo del popolo ma per risolvere il problema degli italiani».

Al momento non si sa cosa ne pensano gli italiani del rientro della Bindi, ma qualcosa deve pensarne il governatore del Pd, Vincenzo De Luca, l’ultimo che ha avuto il privilegio di confrontarsi alla sua maniera con la Bindi («Un’infame») salvo poi chiederle scusa. Faceva riferimento a quella lista di impresentabili – in cui De Luca era stato inserito un giorno prima del voto da candidato governatore del Pd – una speciale creazione della Bindi che di certo non ha mai mancato di fantasia e che bisogna riconoscere (ma c’è anche un po’ di compiacimento) è sempre stata presa di mira dai maschietti. Eletta infatti nel corso della precedente legislatura presidente della commissione parlamentare Antimafia, la Bindi entrò così tanto nella parte da trasformare la commissione in un tribunalino assai rivoluzionario, con poteri di pena e grazia per quanto riguardava le candidature, comprese quelle dei suoi colleghi di partito. Bacchettona quando occorre ma libertina quando serve (e oggi serve per allearsi con Beppe Grillo), la Bindi si è in realtà auto-rottamata quando aveva compreso che Matteo Renzi non l’avrebbe più ricandidata, («Ha usato l’antimafia per regolare i conti all’interno del partito») e per questo da lei etichettato come «il prodotto del ventennio berlusconiano». Il prodotto di oltre vent’anni di Bindi in politica è invece uno sterminato elenco di partiti visitati (Dc, Ppi, Margherita, Pd) e di leader sostenuti (Prodi, D’Alema, Castagnetti, Franceschini, Bersani, Letta, Orlando, Zingaretti). Oggi, suo malgrado, Renzi l’ha riportata alla ribalta, Di Maio la sta per nominare interlocutrice, Zingaretti l’ha scelta come consigliere. Rottamata dalla storia ma rigenerata dalla crisi.