Ecco chi paga lo stipendio ai dipendenti dell’agenzia Ue del farmaco: dramma-vaccino, svelato il complotto

 

Per l’Europa il fallimento è diventato una prassi. Gli Stati Uniti hanno bruciato ancora i tecnici Ue nella corsa ai vaccini, questa volta sull’autorizzazione all’uso dell’antivirus della Johnson&Johnson. Parliamo del farmaco che tutti aspettavano, perché richiede una sola iniezione e si conserva anche a temperature normali. Gli esperti dell’americana Food&Drug administration venerdì notte hanno dato il via libera all’impiego con procedura d’emergenza. L’Unione temporeggia, se ne riparlerà a metà marzo. E per lo Sputnik forse si arriverà a maggio. Come mai? Semplice: da noi neanche esiste una procedura d’emergenza. L’Agenzia Europea del Farmaco, l’Ema, non lo prevede. Il ritardo è la regola, non l’eccezione. Così in pratica stiamo ripetendo gli errori dei mesi scorsi, quando Stati Uniti e Regno Unito ci avevano anticipato di settimane sui permessi per i prodotti di Pfizer, Moderna e AstraZeneca.

Le conseguenze si notano scrutando la classifica dei Paesi con più immunizzati, dove continuiamo a precipitare tallonati da nazioni del terzo mondo. La Johnson&Johnson ieri ha ringraziato la Casa Bianca e annunciato che spedirà i primi 20 milioni di fiale direttamente negli Usa. Noi attendiamo e ora ci toccherà andare a contrattare nella speranza che non si verifichino nuovi tagli alle quote che teoricamente spettano all’Europa. «Questa volta l’Ue non mandi un tirchio a trattare, quei vaccini ci servono», ha twittato Roberto Burioni. Bisognerà capire se non è già troppo tardi.

Dietro a queste scelte sui medicinali c’è ovviamente la politica. Jens Spahn, ministro federale alla Sanità del governo Merkel, già a dicembre aveva provato a mettere fretta alla commissione Ue, chiedendo di spiegare come mai i nostri tecnici non siano in grado di effettuare le analisi sui vaccini negli stessi tempi degli scienziati americani e inglesi. Ursula Von der Leyen aveva spiegato di voler agire con prudenza, di non voler lasciare argomenti ai no-vax conducendo tutto nella massima trasparenza. Ma davvero l’Ema dà queste garanzie di efficienza? In realtà si direbbe di no. Come raccontava Mario Giordano in uno suo libro-inchiesta (Sciacalli, virus, salute e soldi; Mondadori) il budget dell’agenzia, su un totale di 358 milioni di euro, è coperto per 307 milioni (84%) da contributi delle case farmaceutiche e appena per 51 milioni da fondi dell’Unione europea.

Insomma, a pagare i funzionari predisposti ai controlli sui farmaci (un carrozzone composto da 897 dipendenti e 36 amministratori) sono proprio le persone che questi dovrebbero controllare. Il risultato non può che essere patetico. Viste le cifre pagate, ovviamente le aziende hanno diritto a inviare alle riunioni dell’Ema un proprio avvocato. La legge prevede che le valutazioni sui nuovi prodotti debbano basarsi su tre parametri: sicurezza, efficacia, qualità. E su questo non ci sono dubbi. Il problema riguarda i doppioni. Se un farmaco è identico a uno già in commercio ha senso metterlo in commercio? Non chiedetelo all’Ema. Sempre Giordano aveva intervistato un ex membro dell’agenzia, che raccontava: «Alzavo la mano e chiedevo: siamo sicuri che questo nuovo farmaco sia necessario? Aggiunge qualcosa di nuovo? Cura meglio degli altri? Ogni volta l’avvocato delle aziende farmaceutiche, sempre presente alle sedute, mi bloccava: la legge non prevede questa valutazione». L’aveva sempre vinta.

Tornando ai vaccini, oltre al Johnson&Johnson (che garantisce un’efficacia del 76% e una copertura completa per i casi più gravi) ora si porrà nuovamente il tema dello Sputnik. Qualche settimana fa l’Europa aveva accelerato sull’autorizzazione ma ora (dopo l’intervento di Biden) è arrivata una brusca frenata. Marco Cavaleri, responsabile vaccini dell’Ema, ha spiegato ieri che «il sito di produzione è extra europeo, dovremo verificare quindi che il vaccino venga prodotto secondo i nostri standard e a quel punto potremmo essere in grado di concludere, può anche essere ad aprile o maggio». Con tutta calma. L’Italia, tuttavia, ha un’alternativa: muoversi autonomamente e approvare l’utilizzo dell’antivirus russo tramite l’Aifa, agenzia italiana del farmaco. Il che ovviamente rappresenterebbe una sberla fenomenale alle istituzioni Ue.

D’altra parte una cosa a questo punto è chiara: a livello d’immagine l’Unione difficilmente si riprenderà dopo quanto successo in questa pandemia: «La gestione di tutta questa partita», dice l’eurodeputato Fdi Carlo Fidanza, «è stata fallimentare, Ursula Von der Leyen ha giocato la partita politica della vita e l’ha persa tra ritardi nelle autorizzazioni e contratti scritti male. Una débâcle».

 

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