Dopo le tende sulle croci al cimitero, i dipinti coperti dal burqa al museo: la censura musulmana colpisce ancora

Succede anche questo: dopo l’aberrazione delle tendine messe a posta per coprire le croci al cimitero al fine di non urtare la suscettibilità religiosa di credenti di altre fedi, esplode il caso riferito in un dettagliato servizio da Il Giornale sul suo sito dei dipinti esposti in un museo di Londra, oscurati con dei teli dopo le critiche mosse da alcuni musulmani per la nudità dei soggetti pittorici e per la «presenza di versetti coranici»…

Censura musulmana al museo: all’indice e coperti col burqa 2 dipinti
Proprio così, nella cosmopolita Londra, amministrata dal sindaco musulmano di origini pakistane, Sadiq Khan, succede che due dipinti finiti nel mirino dell’oscurantismo integralista debbano essere opportunamente “occultati” o, per meglio dire “imbacuccati” ad arte con dei burqa simbolici, o comunque con quanto di più iconograficamente simile e comunque adatto a prestarsi alla censura iconologica. Tutto per far sì che, come riferisce il sito del quotidiano milanese diretto da Sallusti, «alcune persone di fede musulmana, le stesse che si erano fatte risentire per la presunta connotazione blasfema delle opere attenzionate, smettessero di sollevare rimostranze». E così, nella patria d’elezione del melting pot buonista eretto a sistema, tocca fare un passo indietro e chinare il capo al politicamente corretto declinato al Corano e ai suoi fedeli osservanti in visita museale…

E le opere finiscono nel tritacarne della critica… non solo d’arte
«A narrare quanto accaduto presso la galleria Saatchi è stato Giulio Meotti su il quotidiano Il Foglio», avverte Il Giornale, sottolineando come, peraltro, la fonte citata menzioni, «tra i vari aspetti affrontati, come quel museo non sia considerabile alla stregua di un luogo qualunque e come questo episodio vada ascritto all’interno di un elenco affollato di eventi simili. Insomma, che certe modalità estetiche considerate troppo “all’occidentale” non incontrassero il favore degli integralisti musulmani, non è certo una novità; ma se poi, nel caso dei due dipinti finiti all’indice della censura islamica, aggiungiamo i nudi d’autore ritratti dagli artisti nello stesso spazio pittorico della shahada, cioè la professione di fede islamica, la critica d’arte di parte non ci sta: e ci va giù pesante arrivando addirittura a equiparare le opere finite nel tritacarne ai “versetti satanici». E allora, tra optare per «eliminare dalla mostra i dipinti» “scomodi” oppure trovare una soluzione intermedia che non prevedesse la defenestrazione delle tele dall’esposizione, si è scelto la foglia di fico della simbolica copertura. Ma davvero è stata la soluzione giusta?