Di Maio processato dai suoi. L’accusa: “Troppi incarichi”

«Qua più che una riorganizzazione, servirebbe un’organizzazione». Il titolo, lapidario, del giorno dopo di Luigi Di Maio lo offre su un piatto d’argento un deputato pentastellato vicino al capo politico.

Ed è la sintesi del mantra che circola nello stato maggiore del M5s. L’altro concetto, ripetuto dal vicepremier ai suoi, è che il governo gialloverde, per il momento, va avanti, anche se l’ipotesi di staccare la spina e stata messa sul tavolo: «Lo volete o no?». La risposta è stata no. Per ora. Intanto i fatti di ieri, la giornata convulsa nella war room del capo politico. Terminata con un vertice «processo» nella sede del Mise. Presenti, intorno al tavolo, tutti i massimi esponenti del M5s. Da Alessandro Di Battista a Paola Taverna, fino ai sottosegretari Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora, Gianluigi Paragone, i capigruppo a Camera e Senato Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli e i responsabili della comunicazione Rocco Casalino e Augusto Rubei. Di Battista arriva in scooter, insieme a Paragone. E dichiara ai cronisti: «È un incontro per vedere le cose da fare, non è una problematica di chi, ma di cosa serve fare». Nessuno dice che il vertice è stato convocato per mettere al muro Di Maio e archiviare la sua leadership traballante, ma l’atmosfera è da resa dei conti.

Anche se gli uomini più vicini al capo politico pensano che non ci siano alternative concrete a Di Maio. Non è d’accordo Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, che a Otto e Mezzo ha provato a dare la linea al M5s: «Le dimissioni di Di Maio forse sarebbero anche poco in un partito normale, forse anche lui preferirebbe tenere soltanto la guida del ministero, ma non credo possa». Travaglio ha poi consigliato ai grillini di tornare all’opposizione e riorganizzarsi.

All’uscita dal vertice del Mise, Di Maio si è sentito in dovere di specificare: «Nessuno ha chiesto le mie dimissioni». E Di Battista ha parlato della più grande «scoppola della storia del Movimento», per poi aggiungere che «si hanno tutti delle responsabilità».

Dibba ha spiegato: «Noi non ci spariamo come Renzi e D’Alema», ma le tensioni percorrono anche i gruppi parlamentari. La richiesta è di una maggiore condivisione delle scelte con il vertici e c’è chi taglia corto: «Responsabilità quando si gioca tutti insieme, ma se uno gioca da solo…». Il redde rationem con i componenti dei gruppi parlamentari è previsto per domani. L’ipotesi di chiedere la testa di Di Maio, in molti settori del Movimento, non è esclusa affatto. «Bisogna capire bene lo stato d’animo dei gruppi» dice chi da mesi vuole sovvertire la leadership attuale. La grillina, fichiana e di sinistra, che esprime la sua opinione in chiaro è ancora una volta Paola Nugnes. La senatrice dissidente al Giornale spiega: «Di Maio decida tra i tanti incarichi quale occupare, due volte ministro e capo politico sono inconciliabili per la divisione dei poteri». L’ambizione dei ribelli potrebbe scontrarsi con la realtà del Movimento, un ircocervo al cui interno convivono tante piccole leadership, ma nessuna in grado di soppiantare il vicepremier. Al momento, la giocata che avrebbe più possibilità di riuscita porta il nome di Giuseppe Conte, nelle ultime settimane al centro di rilevazioni e sondaggi di popolarità da parte degli uomini più fidati di Davide Casaleggio. Il premier è graditissimo al figlio del guru e fondatore del M5s.

Ma, almeno ad oggi, la maggior parte delle fonti smentiscono sia un’implosione interna, sia una caduta del governo. La mina sul campo di Palazzo Chigi, ascoltando i grillini, potrebbe essere la prossima manovra: «Se non riusciamo a superare lo scoglio, allora sì che potremmo andare a votare». Magari sperando in un risultato migliore.