Covid attacca anche il fegato: “Rischio di rigetto nei trapiantati”

Covid è un virus multiorgano, ormai lo sappiamo bene. È per questo motivo che attacca anche il fegato, la più grossa ghiandola del corpo umano, situata nella parte alta e destra dell’addome subito sotto il diaframma. In esclusiva, ci ha rilasciato un’intervista il Prof.

Lesione epatica in crescita

Massimo Colombo, Direttore del Centro Humanitas di Rozzano per la Ricerca Traslazionale in Epatologia e presidente della Fondazione Internazionale del Fegato con sede a Ginevra.

Professore, quali sono i sintomi?

“Il 14-53% di tutti i pazienti con Covid-19 presentano alterazioni epatiche segnalate da incrementi nel siero di transaminasi, gamma Gt e spesso di bilirubina. Nei casi più lievi, le alterazioni sono spesso transitorie e non richiedono specifico trattamento. I casi severi, invece, sviluppano una riduzione della albumina sierica che spesso riflette un alterato metabolismo ed uno stato generale di infiammazione”.

C’è una categoria di persone che colpisce maggiormente?

“Di regola, il danno epatico è maggiore nei casi di severa Covid-19 che, come è noto, è più frequente negli over 65, nei pazienti con insufficienza respiratoria, cardiopatie, diabete, obesità, ipertensione, insufficienza renale e immunodepressione. Le limitazioni imposte dalla pandemia all’uso di manovre invasive come biopsia epatica ed esame necroscopico, hanno limitato le nostre conoscenze sul danno istologico del fegato causato da Covid-19”.

Chi è più esposto a danni al fegato?

“I pazienti con malattie croniche di fegato sono dunque fragili e sensibili a Covid-19. Il danno epatico è certamente multifattoriale, in gran parte legato alla sepsi, ai farmaci utilizzati ed alla polmonite. In uno studio multicentrico europeo sponsorizzato da Easl (Società Europea del Fegato, ndr), il tasso di accesso all’unità di cura intensiva è stato pari al 17% per pazienti con epatite cronica, di poco superiore (25%) per quelli con cirrosi, ma il tasso di mortalità è stato rispettivamente del 7% e 36%”.

Come si può individuare la presenza di Covid?

“Non sono state identificate particelle virali nel fegato di infetti Covid-19, si pensa che i recettori Ace2 utilizzati dal virus per aggredire i pazienti siano espressi su cellule endoteliali del fegato e forse su cellule epatiche e biliari. Studi nel ratto dimostrano sovraespressione di Ace2, recettori in corso di danno epatico sperimentalmente indotto”.

È vero che il virus lascia il segno? Se sì, in che modo?

“I danni istologici del fegato riconosciuti sono la microsteatosi ed una modesta infiammazione portale e lobulare, i quali però lasciano il dubbio di un danno da farmaco piuttosto che da infezione virale”.

I danni che può provocare il virus sono simili ad altre patologie che colpiscono il fegato? Se sì, quali?

“Casi severi di epatopatia Covid possono nascere su una preesistente malattia epatica con il risultato di causare decompensazione clinica (ittero ed ascite) per riduzione della già compromessa riserva funzionale del fegato. Covid può anche causare riacutizzazione di epatopatie croniche di ogni natura (alcol, virus,sindrome metabolica) mentre non è chiaro se incrementa il rischio di rigetto nel trapiantato di fegato, come abbiamo visto accadere in corso di Sars nel 2003. Nell’epatopatico cronico virale, Covid-19 causa immunosoppressione, che a sua volta può determinare riaccensione della epatite (in Cina il 10% della popolazione è cronicamente infettata da epatite B)”.

Esistono farmaci mirati?

“I farmaci utilizzati nei pazienti con Covid-19 sono spesso epatolesivi. Non esistono trattamenti antivirali licenziati da Fda (Food and Drug Administration, ndr) o Ema (Agenzia Europea per i Medicinali, nrd), sono oggetto di studi controllati. I pazienti con alterazioni epatiche non richiedono trattamento specifico, ricordo che i danni al fegato sono transitori e spesso legati a comorbidità o farmaci. Dal momento che si materializzano durante la fase di infezione acuta in regime di ricovero ospedaliero o domiciliare, vengono monitorati e gestiti nel contesto della malattia Covid-19″.

Quali sono i danni “indiretti” del virus?

“Covid ha causato anche pesanti danni indiretti ai pazienti epatopatici, in particolare i pazienti con tumori del fegato e quelli in lista per il trapianto del fegato. La necessità di espandere l’assistenza basata sulla ventilazione ha, infatti, sottratto la disponibilità degli anestesisti alle procedure invasive di cura del paziente epatopatico. Da un’indagine multicentrica italiana emerge una riduzione del 76% dei letti dedicati ad attività chirurgica ed un raddoppio dei tempi decisionali per intraprendere cure oncologiche. In aggiunta, medici ed infermieri sono stati cooptati alla cura dei pazienti Covid-19 e, di fatto, sottratti alle attività cliniche specialistiche. In pratica, sono stati cancellati tutti i servizi di assistenza elettiva non urgenti, lasciando i servizi di endoscopia e biopsia epatica per i casi urgenti, quali ad esempio il rigetto d’organo, cancro del fegato in progressione o emorragie digestive del cirrotico, mentre ai pazienti non urgenti è stato fornito il servizio di telemedicina. Sono stati differiti i programmi di screening per tumore del fegato e trapianti di fegato non urgenti, in particolare quelli basati su donazioni da vivente”.

Sono stati riscontrati danni al fegato anche sui bambini?

“Covid-19 è rara nell’infanzia (in Cina 2,4% su oltre 50 mila casi accertati) e nell’82% dei casi acquisita da contatti intrafamigliari. I bambini sono suscettibili quanto gli adulti all’infezione, hanno meno sintomi ed esordiscono più frequentemente con sintomi intestinali (diarrea e vomito). Tendono a fare una malattia meno severa e con minore tasso di mortalità. Tuttavia, i bambini con comorbidità acquisite o congenite sviluppano più spesso forme severe di Covid-19”.

Al di là del Covid, che passi in avanti si stanno facendo con la ricerca?

“Un nostro fondamentale programma di ricerca riguarda la produzione di fegato umano a partire da cellule staminali. Il programma è svolto da un consorzio di 11 centri di ricerca leader nel settore(10 in Europa, uno a Yale) ed è attualmente coordinato dal Prof. Massimo Pinzani, Direttore del Dipartimento di Medicina del Royal Free Hospital di Londra. Il programma prevede tre fasi: nella prima, si vogliono produrre piastre di fegato per testare i farmaci; nella seconda, piccoli bioreattori da utilizzare per tenere in vita neonati con patologia epatica sino al momento ideale del trapianto di fegato e, nella terza, fegato umano per sopperire alla carenza di donazioni d’organo che è pressoché assoluta nel Golfo, in Asia, nell’Europa dell’Est ed in Africa”.