Coronavirus, in Italia più “pazienti zero”

Non ci sono ancora certezze sul perché in Lombardia si stia registrando un così alto numero di persone morte e contagiate dal coronavirus.

Vi è, però, una ipotesi emersa dal primo studio italiano sui tre ceppi del virus. Il pericoloso microrganismo, oltre al Basso Lodigiano, potrebbe avere avuto più porte d’entrata sul nostro territorio nazionale. In pratica, Covid-19 sarebbe stato diffuso da più “pazienti zero” in diverse zone geografiche del Nord Italia.

A raccontarlo è Il Fatto Quotidiano che ha citato una ricerca di 15 pagine firmate dall’équipe di ricercatori coordinata dal professor Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano.

Nel documento si spiega che da una delle tre sequenze italiane complete, comparate con 157 sequenze isolate a livello mondiale, si sarebbe riscontrata una “deriva genetica” del virus. Il microrganismo ha così avuto la capacità di mutare e di replicarsi attraverso la creazione di ceppi diversi. Un modo per superare le risposte immunitarie dell’organismo ospite. I tecnici dell’ospedale Sacco hanno fissato al 26 gennaio il primo ingresso nel nostro Paese del SarsCov2. Si ritiene che il coronavirus sia stato portato nella zona di Codogno da un residente già contagiato in Germania.

I primi tre ceppi sequenziati arrivano da pazienti del Lodigiano. Tutti, con una età compresa tra 71 e 80 anni, hanno accusato i primi sintomi intorno al 13 febbraio. I malati sono stati trasferiti al Sacco il 21 dello stesso mese. Nonostante le cure con antiretrovirali, i pazienti moriranno tra l’1 e l’ 8 marzo.

Il genoma ottenuto viene messo a confronto sia con quelli cinesi che con altri. L’ obiettivo degli specialisti è identificare il cosiddetto “ultimo antenato comune” (tMRCA) per iniziare a indagare sul “percorso” fatto dal coronavirus. Dopo un lungo lavoro “investigativo” sulla linea filogenetica del microrganismo, difficile da capire per chi non è del settore, i tecnici sono riusciti a risalire all’”ultimo antenato comune”. Dallo studio è emerso che i tre ceppi italiani fanno parte di uno stesso gruppo assieme ad altri cinque provenienti da Germania, Finlandia, Messico e Brasile che hanno come antenato il virus cinese datato, attraverso la prima mutazione, al 23 ottobre 2019.

Il primo nodo del cluster, quello che comprende i ceppi italiani, ha un inizio fissato al 20 gennaio in Baviera, mentre il secondo legato a Codogno al 26 dello stesso mese. L’ ultimo riguarda la seconda sequenza tedesca e la prima messicana e risale al 16 febbraio.

Tutti i ceppi del cluster, compresi gli italiani, hanno mostrato capacità di mutamento sugli spikes, cioé quelle proteine che, una volta superate le difese immunitarie di un organismo, si agganciano agli alveoli polmonari creando problemi di respirazione. Il prezioso lavoro dei tecnici del Sacco ha permesso di scoprire con esattezza le date. Molto più difficile è capire quale sia stato l’esatto tragitto compiuto dal coronavirus. L’ipotesi è che Covid-19 si arrivato in Italia con importazioni multiple che hanno creato focolai diversi da Codogno. Ma quale sia stata la fonte? Un altro studio di ricercatori brasiliani e italiani fa propendere che l’infezione sia giunta nel nostro Paese anche dalla Cina. Un elemento utile a supportare questa tesi sono le sequenze della coppia di turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma che appartengono a un cluster composto da genomi sequenziati anche in Inghilterra, Australia e Canada.