Chi grida alla censura è il primo a pretenderla: Travaglio sputtana come merita Furio Colombo, il sedicente opinionista che ha fatto carriera lustrando il fondoschiena di Agnelli e De Benedetti

Lettera di un lettore al “Fatto quotidiano”

Ho letto su MicroMega il punto di vista di Furio Colombo sulla decisione di non collaborare più al Fatto. Mi ha sorpreso la seguente dichiarazione: “Il mio articolo previsto per domenica 8 maggio era particolarmente critico sulla questione. Quell’articolo, con le critiche rivolte a Orsini e Fini, non è stato pubblicato. Non era mai accaduto”. Mi meraviglia la mancata pubblicazione nella data prevista della rubrica, in relazione al principio di pluralismo alla base dell’informazione. Ho frainteso qualcosa?

Francesco Zaccaria

Risposta di Marco Travaglio

Caro Zaccaria, rispondo a lei e anche ai lettori Emanuele Meli e Valerio Avanzi che mi hanno posto la stessa domanda (le moltissime altre sul caso che non abbiamo potuto pubblicare usciranno online nella nostra sezione Extra). Per amicizia, rispetto e carità di patria ho finora evitato di rispondere alle falsità che va diffondendo Furio Colombo su giornali e tv. Ma quella che sia lui il censurato (da me!) è troppo grossa per lasciarla correre. L’unica censura in tutta questa storia è quella che Colombo pretendeva da me, quando mi ha ripetutamente chiesto di cacciare dal Fatto Quotidiano il professor Orsini, “reo” di non pensarla come lui.

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Gli ho risposto, sbalordito, che non era una richiesta né liberale né democratica, anzi inaccettabile per la mia concezione della libertà di pensiero e del pluralismo e irricevibile per la storia del nostro giornale. E lui se n’è andato, malgrado i tentativi di molti di noi di farlo ragionare. Alla fine l’ha ammesso anche lui sul Riformista: “Ho pregato Marco di farne a meno” (di Orsini). Poi però ha aggiunto che “al Fatto non c’è più libertà”: invece c’è sempre stata e sempre ci sarà; non ci sarebbe più se avessi accettato il suo diktat di cacciare un professore per le sue idee.

Non so altrove, ma qui funziona così: i commentatori concordano col direttore gli articoli che, una volta approvati, vengono scritti e pubblicati. Con tre soli limiti: il Codice penale, per tentare di evitare condanne per diffamazione; l’oggettività dei fatti; e il rispetto per gli altri collaboratori del giornale, che possono dissentire gli uni dagli altri, ma non usare il Fatto per insultarsi e diffamarsi fra loro.

Purtroppo Colombo, sabato 7, mi ha inviato un pezzo che oltrepassava tutti e tre i limiti: offendeva e diffamava Fini e Orsini attribuendo loro tesi e intenzioni mai espresse, financo una fantomatica complicità nella guerra di Putin all’Ucraina. L’ho dunque pregato di rimandarlo con tutte le sue opinioni intatte, anzi con un’esplicitazione ancor più dichiarata del suo dissenso da Fini e Orsini (e da me), ma senza insultarli, anche perché altrimenti Fini e Orsini avrebbero avuto tutto il diritto di usare il Fatto per ripagarlo della stessa moneta, trasformandoci in un ballatoio di comari per la gioia dei nostri avversari e lo sconcerto dei nostri lettori.

Colombo ci ha pensato qualche giorno, poi mi ha inviato la nuova versione, che è uscita venerdì. Anche lì le false accuse abbondavano (Fini veniva addirittura scambiato per Lavrov, non avendo mai detto che Hitler era ebreo). Ma a quel punto – per amicizia, rispetto e carità di patria – ho deciso di fare un’eccezione e di pubblicare tutto, limitandomi a correggere le fake news più marchiane. La stessa mattina Colombo mi ha telefonato per comunicarmi che, se non avessi cacciato Orsini, avrebbe lasciato il Fatto. Me lo sono fatto ripetere più volte, perché non ci volevo credere. Purtroppo era tutto vero.