Calenda: «Con Scalfarotto e Gozi abbiamo toccato vette di stupidità mai raggiunte»

Carlo Calenda senza freni inibitori. Ne ha per tutti e due gli artefici di giornate infauste per il Pd. Lo sfogo sui social è durissimo, di un’ironia corrosiva e devastante: «È il caldo. Spero che sia il caldo. Perché tra Gozi ieri e Scalfarotto oggi vi giuro che stiamo raggiungendo vette di stupidità mai prima conquistate nella politica contemporanea». Lo scrive su Twitter l’ex ministro Carlo Calenda postando il ben tristemente noto tweet di Ivan Scalfarotto ripreso dal sito Adnkronos, dove il deputato del Pd annunciava di essersi recato in carcere per accertarsi delle condizioni degli imputati per il terribile omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega.

Calenda contro Gozi
Inoltre Calenda aveva anche fortemente criticato in un altro tweet Sandro Gozi per il suo ingresso nel governo francese. «Non si entra in un governo straniero. Non si tratta di un gruppo di lavoro – aveva scritto – ma di ricoprire per due mesi nel governo francese la carica che ha ricoperto nel nostro governo, conoscendo posizioni e interessi anche riservati non sempre coincidenti. Semplicemente non esiste». Duro e netto, Calenda.

Fiano “coccola” l’amico Scalfarotto
Non altrettanto si può dire per Emanuele Fiano, che prima di criticare l’iniziativa di Ivan Scalfarotto, lo blandisce e non prende una posizione netta. Lo critica ma anche no. «Ci sono momenti in cui il pensiero di dissociarsi dal comportamento di un amico, un compagno di battaglie sui diritti, e sulla difesa della Democrazia nel nostro paese, può spingere a stare in silenzio. Io invece voglio spiegare perché non ho condiviso la scelta di Ivan Scalfarotto di andare a Regina Coeli». Un lungo preambolo, per poi giustificare Scalfarotto, reo di avere invertito solo delle priorità. «C’è stato un terribile omicidio di un carabiniere – ha detto Fiano- che ha prodotto un’onda emozionale in tutto il paese. Gli insulti che hanno colpito Ivan – conclude – sono inaccettabili, e certamente c’è sempre anche, l’esigenza di verificare la condizione dei diritti dei detenuti, ma senza incorrere nel rischio di apparire, come è successo, come coloro che invertono l’ordine delle priorità, pur in assoluta buona fede». Il solito Pd: uno, nessuno centomila.