Bergamo, racconto dall’inferno “Stanno arrivando i 40enni…”

“Mi sembra un unico giorno molto lungo”. All’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove lavora come anestesista rianimatore il dottor Lorenzo Grazioli, l’ondata di malati per coronavirus non è mai finita.

400 i pazienti ricoverati, 80 in rianimazione.

Ad oggi, racconta il medico in un’intervista alla Stampa, “Abbiamo accumulato così tanti pazienti che se ci dovesse essere un calo da qui non lo vedo ancora. È un’ onda lunga”. In rianimazione, i pazienti sono tanti e “molto complessi da trattare”: “Il nostro problema- spiega Grazioli- È dove metterli. Siamo al limite delle risorse. La rete è satura”. Ma, nonostante questo, si cerca di fare “il meglio” nell’ospedale e, in caso di necessità, “ci affidiamo alla rete sanitaria della Regione Lombardia”. Nella Regione, la più colpita dalla pandemia da Covid-19, la situazione è complessa. Ma perché proprio qui si è concentrato il maggior numero dei casi? “L’epicentro- spiega Grazioli- come quello del terremoto, non si sa mai dove sarà. Qui ci sono tante persone che vanno e vengono per ragioni di lavoro, tanti aeroporti e tanti contatti. Questa è una malattia estremamente virulenta, contagiarsi è facile”.

E sull’età dei pazienti, l’anestesista lancia l’allarme: “I primi erano grandi anziani, piano piano sta diminuendo l’età. Vedo tanti uomini anche di quarant’ anni. La media adesso è cinquant’ anni. Hanno bisogno di ventilazione meccanica”. Il motivo? “Provate a far correre un uomo di 30, uno di 40 e uno di 50 anni insieme. Chi arriverà primo? Quello di 30. All’ospedale invece l’arrivo è inverso. I giovani hanno più risorse”. E per trattarli “ci sono dei criteri tracciati”, delle “scale di valutazioni”, che permettono di capire “il beneficio che una terapia intensiva può dare”: “Tutti i giorni, valutiamo. Facciamo i clinici. Quindi, decidiamo. Ma non significa trascurare i pazienti. Ci sono malati che per la loro età anche con 100 posti liberi non andrebbero in terapia intensiva perché non ne beneficerebbero”. E specifica: “Tutti coloro che hanno bisogno di intubazione vengono intubati”.

Per curare i pazienti, i medici fanno orari lunghi ed estenuanti. Il rianimatore di Bergamo lavora “non meno di 12 ore”: “Non ho una vita, in questo momento. Torno a casa, mangio e vado a letto. Poi torno in ospedale”.

Da subito, Lorenzo Grazioli ha capito che il coronavirus avrebbe cambiato l’Italia: “Abbiamo avuto un incremento esponenziale di pazienti- spiega- Da allora non è mai finita. Mi sembra un unico giorno molto lungo”. Per questo, il medico sostiene che non ci sia stato allarmismo: “Se voi vedeste quanta gente arriva ogni giorno vi togliereste il dubbio. Non siamo bambini. Bisogna essere seri e crudi nelle comunicazioni”. Per affrontare l’emergenza sarebbero utili “attrezzature e personale, ma non è facile trovare medici che facciano questo lavoro serenamente. L’esperienza è impagabile in questi casi. L’ emotività va lasciata da parte sempre”.

E sulla possibile durata del virus, il rianimatore avverte: “Dipende da noi. Da tutti noi. Se ci convinciamo che possiamo fermare il virus stando a casa, si smorzerà per forza. Altrimenti, no: continuerà e ne pagheremo le conseguenze”.