Andrea Scanzi, il principe dei “Cazzari”. Una figura di palta dietro l’altra e un sospetto: perché si fa sbeffeggiare da tutti

 

francesco specchia n”Più che un saggio deve trattarsi senz’ altro di un’autobiografia”. Al massimo, di un ardito memoir. Queste sono le briciole di commenti, la scia dei frizzi e dei lazzi che accompagnano l’uscita del nuovo libro di Andrea Scanzi “I cazzari del virus, Diario della pandemia tra eroi e chiacchieroni” (PaperFirst) già primo in classifica su Amazon e già trend topic per la polemica che ne anticipa e surclassa il cotè squisitamente letterario. Molti stanno massacrando il libro di Scanzi prima ancora d’averlo sfogliato. Ma Scanzi -cronista di buon livello, penna aguzza con una pregevole affezione per il teatro canzone di Gaber- ne conosce perfettamente la causa: il titolo dell’opera è un inevitabile motivo di sputtanamento a cui i suoi avversari attingono in queste ore a mani basse. Perché Scanzi, il quale giustamente trasforma la sua prosa in un bazooka contro quei politici che negarono la sottovalutazione del Coronavirus, è in realtà il primo ad avere negato, dello stesso virus, la pericolosità, i drammi sociali, i cadaveri che ne hanno cadenzato il contagio. Il 25 febbraio scorso Scanzi, maestro dei social, indossando occhiali scuri e un giubbotto a metà fra Fonzie e Renzi, postò un accorato j’ accuse contro gli allarmisti da Covid: «È una normale influenza, non uccide più di una influenza». E ancora tuonava su Facebook: «Non è una malattia mortale porca puttana di una troia ladra», prendendosela con il “delirio collettivo” sul Covid-19. Che, infatti, poi s’ è visto. Anzi, a dire il vero, a quella data, bastava sfogliare bollettini e agenzie stampa per accorgersi dell’escalation della pandemia: i contagiati in Italia erano 322, con già 10 decessi. Era l’inizio dell’isolamento di Codogno e di altri 11 comuni lombardi. Le persone cominciavano a stecchire a grappoli. Eppure, Scanzi affermava che «non è possibile che io veda la gente che non esce più di casa» sottolineando come «l’influenza qualsiasi ce l’ha dello 0,1-0,3%, il coronavirus ha un’incidenza mortale, se va male, ad oggi dello 0,4-0,5%». E ancora: «Non succede una sega nel 99,7%». Mentre Scanzi urlava il suo disappunto, il presidente della Lombardia Attilio Fontana, molto prima di essere trattato come l’umarell che osserva un cantiere istituzionale troppo grande, aveva avvertito la popolazione. Sicché se da un lato ora il web si riempie delle estemporanee recensioni del libro neanche fosse l’ultimo di Philip Roth, dall’altro la stessa rete s’ ingolfa di post che attribuiscono all’autore epiteti che variano dalla malafede alla coglioneria.

Ora, capita a tutti di dire o fare delle cazzate. Noi giornalisti, in questo, siamo campioni olimpici. E capita a tutti di parlare prima di accendere il cervello, e poi pentirsi, e ripensare e magari scusarsi del pregresso; sul Covid, io stesso seguivo la “scuola Gismondo”, dalla virologa del Sacco di Milano che metteva il virus sul piano inclinato d’un raffreddore. Proprio Il Fatto Quotidiano, il giornale di Scanzi, a firma di Alessandro Ferrucci, pubblicò una paginata contro il vizio di dichiarare sul Covid prima di pensare, a opera di “politici, vip e pseudovip”; e non ricordo se, tra le categorie fosse citato Scanzi, ma non ha molta importanza. Ha importanza, invece, che, se magari uno scrive «Sin dall’inizio, il Coronavirus cortocircuita Matteo Salvini. Non che ci volesse molto, ma è evidente come il cazzaro verde appaia in difficoltà: abituato com’ è ad attaccare tutto e tutti, si è reso conto -forse – che fare la parte del bullo in tempi di Covid-19 non paga»; be’, dovrebbe evitare almeno di proiettare i suoi complessi di colpa junghiani sugli avversari. Non è, diciamo, elegantissimo. Intendiamoci: Scanzi ha ragione sulle amnesie, i finti abbagli, le capriole a cui ci hanno abituati i politici da Salvini (ricordo le sue posizioni sull’istituto del recall sparito dai radar) a Renzi (di lui ricordo tutto il resto). Per non dire della parabola dei virologi in tv, gente che si contraddice reciprocamente in un racconto stordente quasi balzachiano. Scanzi ha ragione sulle amnesie degli altri, ma si dimentica le proprie. E fargli scrivere un libro sui cazzari del virus equivale a far firmare a Gianni Riotta un libro sulla Costituzione (mitica la sua gaffe sull’art.1) o all’ex ministro Gelmini un trattato sui tunnel dal Cern al Gran Sasso, o a Di Maio dei pamphlet geopolitici su Pinochet. Ma Scanzi è troppo intelligente per non saperlo. E il sospetto è che anche le critiche come questa gli producano pacchi di pubblicità gratuita riproduzione riservata Il giornalista Andrea Scanzi con in mano una copia del suo ultimo libro «I cazzari del virus»

 

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