ALESSIA PIFFERI, INTERROGATORIO CHOC: NUOVI INQUIETANTI DETTAGLI. “MA NON SONO UNA CATTIVA MADRE”

Ha sconvolto tutta Italia il caso della piccola Diana, una bimba di 16 mesi lasciata in casa, da sola, per 6 giorni, dalla madre 37enne Alessia Pifferi, andando lentamente incontro alla morte.

Una storia di degrado, abbandono, desolazione, premeditazione, orrore che, se già di per sé aberrante, ogni giorno di infittisce di nuovi e terribili dettagli. Perché Diana, già in altre occasioni, sarebbe stata lasciata da sola, con la scusa che con lei c’era la babysitter, ma questa volta le si è rivelata fatale.

Quel che è certo è che Diana è morta di stenti, nell’abitazione di Milano dove la Pifferi l’ha lasciata alle 18:55 di giovedì 14 luglio e gli inquirenti stanno lavorando per ricostruire tutta la dinamica dei fatti che hanno comportato il decesso della bimba.

Intanto, mentre emergono nuovi dettagli, sempre più agghiaccianti, da far rabbrividire chiunque, l’Italia resta senza parole, chiedendosi come sia possibile che colei che ha generato la vita, finisce con toglierla.

Lo abbiamo visto recentemente con il caso di Elena Del Pozzo, accoltellata da 11 fendenti da una madre che l’ha portata in un campo incolto e l’ha gettata in una buca scavata ad hoc per porre fine alla sua esistenza.

E la storia è continuata con Diana, che era nata a 7 mesi il 29 gennaio di un anno fa. L’orrore che i carabinieri si sono trovati di fronte era agghiacciante. Il cadavere della piccola, gracile, malnutrita, piena di piaghe, dei segni lasciati dai pannolini che per giorni la madre le aveva lasciato addosso.

Il corpicino senza vita in un lettino da campeggio con accanto un biberon contente tracce di latte, un pannolino sul lettone, lanciato oltre le sbarre della culla, un altro pannolino sul davanzale, pieno di vermi. Gli investigatori nell’abitazione hanno trovato solo una boccetta di En, di benzodiazepine, vuota per 3 quarti su un mobile della cucina, con dubbio che possa avergliele somministrate per farla stare calma durante la sua assenza.

Intanto la Pifferi, dopo averle dato gocce di tachipirina (il cui flacone non è stato ritrovato) per placare i dolori dei dentini che stavano spuntando, ha chiuso il trolley ed è partita per Leffe, in provincia di Bergamo, dal suo nuovo compagno, sapendo che sua figlia sarebbe potuta morire.

Così è stato al suo ritorno, quando, tornata nel piccolo bilocale di Via Paranea, nel quartiere popolare e periferico di Ponte Lambro, vedendo che Diana non si muoveva, le ha dato una pacca sulla schiena, le ha messo i piedi nel lavandino per rianimarla, senza alcun segno di reazione. A quel punto ha chiamato la vicina di casa, che ha allertato immediatamente i soccorsi. I sanitari, giunti sul posto, non hanno potuto far altro che constatare il decesso della bambina, che risalirebbe ad un giorno prima.

E il racconto della Pifferi non ha mostrato una lacrime, un segnale di colpa, di pentimento per quanto accaduto. Neppure una lacrima è scesa dal suo volto, impassibile, in un interrogatorio senza pause, tutto d’un fiato. Intanto si continua ad indagare perché sono ancora tanti i punti da chiarire in questo figlicidio.