“Useremo il cordone ombelicale”. Ecco la scoperta che ferma il Covid

Ottime notizie sulla lotta alla pandemia giungono dagli Stati Uniti grazie ad un team con a capo un ricercatore italiano: le cellule staminali mesenchimali contenute nel cordone ombelicale potrebbero guarire dal Covid-19. È questa la notizia che arriva dal sud della Florida, precisamente dal Diabetes Research Institute (Dri) e del Cell Transplant Center dell’Università di Miami Miller School of Medicine.

Cosa dice lo studio

I medici ed i ricercatori dello studio hanno affermato che il trattamento sperimentale che coinvolge le cellule staminali ha avuto un incredibile successo nel trattamento dei casi gravi di Covid. “Penso che questo potrebbe essere un punto di svolta”, ha detto il Dott. Camillo Ricordi, Direttore del Cell Transplant Center presso l’Università di Miami e capo della ricerca. Secondo Ricordi, il trattamento innovativo utilizza le cellule staminali del cordone ombelicale di un bambino. “Il trattamento ha dimostrato di ridurre in modo sicuro il rischio di morte ed ha accelerato i tempi di recupero per alcuni dei pazienti più malati”, si legge sul quotidiano di Miami. Si potrebbe trattare di una vera e propria svolta nella cura alla terribile malattia che attanaglia tutto il mondo, un trattamento in più che potrebbe unirsi all’efficacia dei vaccini ed alle cure già presenti.

“Abbiamo appena pubblicato lo studio che utilizza cellule staminali derivate dal cordone ombelicale di un neonato sano. Generalmente gettiamo via la placenta che viene scartata dopo la nascita ma stiamo usando cellule che vengono estratte e si espandono da quel cordone ombelicale. Questo può generare e fornire dosi terapeutiche per oltre 10mila pazienti da un singolo cordone ombelicale. È un risultato straordinario”, ha detto lo scienziato italiano, considerato fra i massimi esperti mondiali nel trapianto di isole pancreatiche senza dover ricorrere ai farmaci immunosoprressivi. Ha inventato il primo apparecchio al mondo che consente di individuare le isole pancreatiche permettendo così di trapiantare solo le cellule pancreatiche e non l’intero organo, come viene riportato dall’Ismett.

“91% di efficacia”

La scoperta è rivoluzionaria se si pensa che con un unico cordone ombelicale si possono salvare e curare potenzialmente 10mila pazienti. Considerati tutti i parti che avvengno costantemente nel mondo, si può aprire la strada verso una nuova, vera, cura contro il Coronavirus. Ma come funziona? Sullo studio si legge che è stato dimostrato come queste cellule staminali mesenchimali, riescono a modulare i processi immunitari e iperinfiammatori iperattivi, promuovono la riparazione dei tessuti e secernono molecole antimicrobiche. Le cellule ombelicali, oltre a spegnere l’infiammazione, sono immuno modulanti, cioé regolano le complesse difese immunitarie e intervengono proprio dove si verificano le tempeste di citochine tipiche dell’infezione da Covid-19. Lo studio è stato realizzato in doppio cieco, cioè né il paziente né il medico incaricato della valutazione erano a conoscenza dell’assegnazione del trattamento e il personale responsabile della somministrazione del prodotto non era a conoscenza dell’assegnazione di gruppo.

Procedura non invasiva. Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che il tasso di sopravvivenza dei pazienti trattati con le cellule staminali era del 91% e, in generale, si è notato un significativo miglioramento del tempo di ricovero e dimissione dall’ospedale: meno di due settimane. Inoltre, più dell’80% delle persone trattate sono guarite in soli 30 giorni. Quando una persona sviluppa Ards, cioè la sindrome acuta da distress respiratorio, i suoi polmoni sviluppano una grave infiammazione accumulando liquido. Il Prof. Ricordi ha detto che questi pazienti sono solitamente sottoposti a procedure invasive ma non nel caso di queste cellule staminali. “Queste cellule iniettate nella flebo seguono naturalmente una procedura molto semplice che non richiede alcuna procedura invasiva. Puoi semplicemente dirigere la trasfusione al polmone”, ha spiegato. “Le cellule vanno ai polmoni ed è stato solo un tipo straordinario di risultato e siamo molto entusiasti di passare alla fase successiva”.

“È la cura più efficace che c’è”

“Considerando i pazienti al di sotto degli 85 anni, il 100% di coloro che hanno ricevuto le cellule sono sopravvissuti. Non siamo al corrente di altri trattamenti che abbiano un tale profilo di efficacia in questi pazienti con Covid-19 grave. Anche l’accelerazione della guarigione è di straordinaria importanza e consentirebbe, tra l’altro, di abbassare la permanenza dei pazienti nelle unità di terapia intensiva togliendo carico al lavoro già pesante del personale ospedaliero”: in esclusiva nazionale per ilgiornale.it abbiamo sentito il Prof. Giacomo Lanzoni, braccio destro del Prof. Ricordi e anch’esso autore dello studio.

“L’infiammazione viene spenta”. Come per i vaccini, anche in questo caso sono necessarie due dosi. “Due dosi di cellule (100 milioni di cellule per dose) vengono infuse per via endovenosa a tre giorni di distanza. Queste cellule hanno una potente attività antinfiammatoria ed immunomodulatoria – ci dice Lanzoni – Abbiamo analizzato i cambiamenti nella concentrazione di numerose molecole coinvolte nell’infiammazione, incluse molecule della cosiddetta ‘tempesta di citochine’ che caratterizza il COVID-19 grave: il trattamento con queste cellule staminali mesenchimali inibisce in maniera evidente questa ‘tempesta’”.

Da dove nasce l’idea

Al Diabetes Research Institute dell’Università di Miami erano in atto studi su queste cellule per una applicazione nel Diabete di Tipo 1. Poi il Covid ha cambiato tutto. “Quando il virus è emerso in Cina abbiamo studiato osservazioni fatte da colleghi scienziati cinesi interagendo con i gruppi di ricerca che stavano conducendo i primi studi pilota sull’utilizzo di cellule staminali mesenchimali per combattere questa nuova malattia”, ci dice il ricercatore. L’Fda americana ha autorizzato i trials clinici in tempi record, sin dal 25 aprile 2020. “Anche se questo trial è stato condotto su soli 24 pazienti, abbiamo osservato differenze statisticamente significative in parametri clinici di efficacia, il che è davvero notevole”, sottolinea.

Quali scenari? È chiaro che lo studio dovrà andare avanti e confermare l’efficacia anche in altri pazienti ed in altri centri, ma le idee sono chiare. “Stiamo ora aumentando la produzione e stiamo offrendo dosi di Cellule Staminali Mesenchimali per uso ‘compassionevole’ a quei centri nel Nord America che ne fanno richiesta. Inoltre, abbiamo richiesto alla Fda l’autorizzazione per condurre un trial multicentrico, randomizzato e controllato, con un numero molto maggiore di pazienti. Al di là del Covid-19, riteniamo che questi risultati siano criticamente importanti anche per altre malattie caratterizzate da risposte immunitarie aberranti ed iper-infiammatorie, come il Diabete di Tipo 1”, afferma Lanzoni.

Cosa accadrà durante i parti?

Con questa rivoluzionaria scoperta, come cambieranno i parti? Un pezzo del cordone verrà “messo da parte” ed essere utilizzato per la cura? “Utilizzando il nostro protocollo di coltura, le cellule derivate da un singolo cordone ombelicale possono essere espanse fino a generare decine di migliaia di dosi e possono poi essere utilizzate ‘allogenicamente’ nei riceventi. Non c’è l’emergenza di processare ogni cordone ombelicale. Ritengo comunque che sia una buona idea preservare queste cellule dal cordone ombelicale dei neonati, ove possibile”, ci spiega lo studioso.

Cellule da altri tessuti. Dal momento che le cellule mesenchimali fermano l’infiammazione e bloccano il virus, abbiamo chiesto al Prof. Lanzoni se queste esistono soltanto nei cordoni o se è possibile ricavarle in altro modo per avere sempre più frecce al nostro arco. “Cellule molto simili possono essere ricavate anche da altri tessuti come quello adiposo, il midollo osseo, la membrana amniotica, ed altri tessuti della placenta”. Proprio quello adiposo sembra essere un’ottima sorgente per trapianto ‘autologo’, in cui il donatore è il paziente stesso. Il problema è che nel Covid-19 bisogna essere tempestivi: le dosi terapeutiche devono essere pronte immediatamente per l’ utilizzo, “non c’è tempo di attendere l’espansione in coltura di cellule autologhe, un processo che richiede settimane. Abbiamo dunque preferito sviluppare un prodotto cellulare da cordone ombelicale per uso allogenico, per poter distribuire dosi pronte all’uso”, spiega Lanzoni.

Costi e “monoclonali”

I costi legati a questo tipo di terapia sono alti o possono essere abbordabili per gran parte della popolazione una volta che sarà messa a punto? Il ricercatore ci dice che sono “accessibili” e bisogna considerare che il trattamento è inteso per soggetti con “Covid-19, ovvero una piccola percentuale di coloro che sviluppano la malattia”. Quindi, come per la cura con gli anticorpi monoclonali, più diffusa negli Stati Uniti e praticamente ferma in Italia, ci si chiede se anche in questo caso si risolverà con un nulla di fatto. “Sono convinto che le mesenchimali verranno utilizzate molto presto! Diversi centri in Italia stanno già lavorando su studi simili; il nostro protocollo potrebbe essere d’aiuto per armonizzare le strategie di trattamento e le analisi di follow-up, permettendo comparazioni”, aggiunge.

La burocrazia italiana e non solo, lo sappiamo bene, ha tempi lunghi. “Per poter offrire in Italia le cellule che prepariamo al Diabetes Research Institute dell’Università di Miami dovremo districare questioni regolatorie che riguardano l’esportazione di prodotti cellulari dagli U.S.A. all’Europa: ci stiamo lavorando sopra. Saremmo felici di collaborare con centri in Italia interessati a questa strategia terapeutica. Questo trattamento ha un potenziale enorme, per il Covid-19 e non solo!”, conclude il ricercatore.