“Un ricatto, 250mila euro…”. Garlasco, a Zona Bianca una nuova sconvolgente pista
Il delitto di Chiara Poggi continua a far parlare di sé, e non solo per la condanna definitiva di Alberto Stasi. A distanza di anni, la puntata di “Zona Bianca” su Rete 4 ha riaperto il vaso di Pandora, trasformando l’omicidio in un’indagine che sembra immergersi in un racconto noir, tra segreti di provincia, figure oscure e un “sistema” che potrebbe celare ben più di quanto emerso finora.
Il programma, condotto da Giuseppe Brindisi, ha riunito un parterre di esperti, tra avvocati, giornalisti e analisti, per discutere le nuove piste e i dubbi che ancora aleggiano sul caso. L’impulso a riaccendere i riflettori è arrivato dagli avvocati Massimo Lovati, legale di Andrea Sempio, e Antonio De Rensis, difensore di Stasi, affiancati da cronisti che hanno seguito da vicino le indagini, come Umberto Brindani, Attilio Bolzoni e Rita Cavallaro.
Quest’ultima, in particolare, ha gettato nuova luce sulla vicenda, tracciando un collegamento inquietante: l’arrivo a Pavia del procuratore Mario Venditti, figura di spicco nell’ambito anti-mafia e anti-terrorismo, avrebbe svelato una rete più ampia, un vero e proprio “sistema” che vedrebbe nell’omicidio di Chiara Poggi solo la punta dell’iceberg. “La sentenza su Stasi non ha superato il principio del ragionevole dubbio,” ha dichiarato la Cavallaro, sottolineando la fragilità della verità giudiziaria.
Ma il vero colpo di scena è arrivato con la rivelazione di dettagli sconcertanti: Chiara Poggi, nei mesi precedenti la sua morte, avrebbe effettuato ricerche online su temi oscuri come pedofilia, disturbi alimentari e tecniche per trovare tracce sui cadaveri. Un elemento che, insieme alle “versioni inculcate” di Stasi, definite “bugie imposte” dall’avvocato Lovati, getta nuove ombre sull’intera vicenda.
È proprio Lovati a svelare uno dei fili rossi che potrebbero legare il delitto Poggi a un altro scenario oscuro: il Santuario della Bozzola. In questo contesto, emerge il racconto di una comunità che accoglieva orfani e tossicodipendenti, di suicidi sospetti mai approfonditi e di un parroco di campagna coinvolto in un ricatto sessuale. Don Gregorio Vitali, rettore del santuario, fu vittima di un’estorsione da parte di due cittadini romeni, Flaviu Alexa Savu e Florin Tanasie, che gli chiesero 250mila euro per non divulgare registrazioni audio compromettenti. “Com’è possibile che un parroco disponga di una cifra simile?” si chiede Lovati, accusando la procura dell’epoca di non aver approfondito le intercettazioni e le segnalazioni.
I fatti risalgono al 2014, quando i due romeni furono arrestati dai carabinieri di Vigevano. Il processo si concluse nel 2018 con la condanna dei due ricattatori. Don Vitali, che ammise un solo rapporto dovuto a “un momento di debolezza”, venne interdetto dalla celebrazione pubblica della messa. I presunti video compromettenti non furono mai trovati.