Terremoto in politica, il sindaco italiano arrestato: cos’è successo

Una città del Sud sotto shock per un’indagine che coinvolge sindaco, funzionari e imprenditori, svelando un reticolo di favori, appalti truccati e tentativi di depistaggio.


Molfetta nel mirino della giustizia: arresti e indagini su un sistema di corruzione

Un’inchiesta giudiziaria partita in sordina si è trasformata in un vero e proprio terremoto che scuote le fondamenta della gestione pubblica di Molfetta, città del Sud Italia. Nomi noti e sospetti di manovre illecite emergono in modo sempre più chiaro, rivelando un sistema parallelo costruito sulla corruzione, il clientelismo e l’abuso di potere.

Le misure cautelari e i protagonisti

Tra gli indagati spicca il nome del sindaco Tommaso Minervini, finito agli arresti domiciliari. Con lui sono coinvolte altre sette persone, tra cui funzionari comunali, un ufficiale della Guardia di Finanza e un imprenditore. L’ordinanza è stata firmata dal gip Marina Chiddo del tribunale di Trani, su richiesta dei pm Francesco Aiello, Marco Gambardella e Francesco Tosto.

Oltre a Minervini, sono stati colpiti da misure cautelari: la dirigente comunale Lidia De Leonardis (ai domiciliari), i funzionari Alessandro Binetti e Domenico Satalino (interdetti per un anno dai pubblici uffici), e il luogotenente Michele Pizzo, sospeso dalla Guardia di Finanza. Per l’imprenditore Vito Leonardo Totorizzo è stato disposto il divieto di stipulare contratti con la pubblica amministrazione. Alcuni altri soggetti, come Mario Morea e Tommaso Messina, hanno visto respinte le richieste di misura cautelare.

Accuse e ipotesi di reato

Secondo l’accusa, il sistema illecito avrebbe coinvolto scambi elettorali, appalti truccati e favoritismi nella gestione delle risorse pubbliche. Minervini sarebbe stato sostenuto elettoralmente dall’imprenditore Totorizzo in cambio di favori negli appalti del porto, creando un rapporto pericoloso tra politica e imprese. La procura ipotizza ventuno reati, tra cui corruzione, turbativa d’asta, peculato e falso.

Le carte dell’indagine dipingono un quadro di manovre orchestrate per controllare nomine, gare pubbliche e risorse economiche, con tentativi di depistaggio e di insabbiare le prove. Tra i retroscena inquietanti, emerge anche il presunto tentativo di depistaggio da parte di alcuni indagati, tra cui Minervini e Pizzo, che avrebbero cercato di mettere in guardia la dirigente comunale circa la presenza di microspie nel suo ufficio, attribuendo l’azione a colleghi della Guardia di Finanza.

Fondi pubblici e minacce anonime

Un episodio che ha suscitato particolare scalpore riguarda una bonifica ambientale finanziata con fondi pubblici, ritenuta dagli inquirenti un’ulteriore manovra per proteggere gli interessati, ma che si è rivelata un’ulteriore aggravante. A ciò si aggiunge un biglietto anonimo recapitato negli uffici comunali con scritto: “Fai il sindaco delle pecore”, un segnale evidente della tensione e del clima di intimidazione che permeava l’ambiente amministrativo.

Il quadro della città e le prospettive future

Minervini, interrogato, ha fornito una versione dei fatti incompleta e contraddittoria, soprattutto sulla provenienza delle cimici trovate nel suo ufficio. Gli inquirenti sottolineano come gli indagati abbiano cercato di neutralizzare le prove, ma il danno ormai sembrerebbe irreversibile.

La procura descrive un modello consolidato di favoritismi radicato nella macchina amministrativa locale, un sistema che ora rischia di crollare sotto il peso delle accuse. Se questa inchiesta rappresenta solo l’inizio, nei prossimi mesi potrebbero emergere altri dettagli oscuri destinati a cambiare radicalmente il volto della politica cittadina.