Sentenze pilotate al Consiglio di Stato in cambio di 150.000 euro: arrestati 3 giudici

Pilotavano le sentenze del Consiglio di Stato, il Tribunale di secondo grado della giustizia amministrativa dopo il Tar, in cambio di tangenti per circa 150mila ma sono ora finiti agli arresti domiciliari in tre – una quarta persona è ancora a piede libero perché si trova all’estero – dopo le confessioni fatte negli ultimi mesi dall’avvocato siciliano Pietro Amara, legale dell’Eni, e dal collega di studio Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio del 2018 scorso nell’ambito in uno dei filoni dell’inchiesta delle Procure di Roma e Messina.

Cinque gli episodi di corruzione contestati dai magistrati di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, al giudice del Consiglio di Stato, attualmente sospeso, Nicola Russo, già arrestato un anno fa per altre vicende giudiziarie, all’ex-presidente del Consiglio della giustizia amministrativa siciliana Raffaele de Lipsis, all’ex giudice della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso, tutti magistrati non più in servizio, mentre il deputato dell’Assemblea della Regione Sicilia, Giuseppe Gennuso detto Pippo della lista di centrodestra Popolari ed Autonomisti non è ancora stato arrestato invece perché si trova attualmente all’estero.

L’indagine è partita, come detto, dopo le confessioni degli avvocati Amara e Calafiore, dichiarazioni poi verificate dagli inquirenti della Procura di Roma attraverso intercettazioni e analisi dei flussi finanziari che hanno confermato quanto raccolto a verbale.

Gennuso fu arrestato già il 17 aprile scorso con l’accusa di voto di scambio su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catania per un accordo elettorale fra l’allora candidato, al suo quarto mandato elettorale, e gli esponenti del clan Crapula: «dalle indagini sappiamo che certamente l’onorevole Gennuso aveva contezza della caratura criminale dei soggetti con cui stava dialogando e da cui aveva accettato la promessa di voti», disse, nel corso di una conferenza stampa il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro.

«E’ andato tutto bene, ma ha n’escere i soldi…» (adesso deve tirar fuori i soldi, ndr), dice una persona intercettata dai carabinieri di Siracusa e vicina al clan sfregando indice e pollice, alla fine dei festeggiamenti per l’elezione di Gennuso, riconfermato all’Ars.
Per la Procura distrettuale di Catania non ci sono dubbi: è la conferma dell’accordo stretto fra il candidato e gli esponenti del clan Crapula. E in un altro colloquio intercettato: «… abbiamo quattro-cinquecento voti, ma lo abbiamo con i fatti! I soldi ci vogliono». «Lo sai come stiamo facendo? Cinquanta euro, no? A famiglia! Quanti sono? Cinquanta euro lui sta uscendo? La base nostra cinquanta euro a persona». Fatto sta che ad Avola, dove comanda il clan, Gennuso riuscirà a surclassare i suoi avversari prendendo 424 voti.
Ora l’ultima contestazione nell’ambito delle sentenze pilotate al Consiglio di Stato.

Nell’inchiesta che ha portato ai tre arresti di oggi compare anche il nome dell’avvocato Stefano Vinti, legale di Alfredo Romeo, che secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, anche grazie alle intercettazioni, comprava sentenze a “pacchetti” per favorire gli avvocati Amara e Calafiore e i loro clienti.

Quanto al giudice del Consiglio di Stato, Raffaele De Lipsis sarebbe stato tra i giudici sui quali Amara e il suo socio di studio Calafiore ricorrevano in favore dei loro clienti, mentre l’ex-giudice della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso era l’uomo che gestiva il giro di tangenti per conto di de Lipsis.

Ci sono poi le dichiarazioni di Amara fatte ai magistrati, ai quali ha detto di aver dato 120mila euro a Nicola Russo.
A quest’ultimo sono contestate in particolare tre sentenze pilotate. Secondo quanto dichiarato da Amara, Russo avrebbe ottenuto da lui circa 80mila euro (con la promessa di averne altri 60mila), per aggiustare sentenze di tre procedimenti.

De Lipsis avrebbe ottenuto invece tangenti per 80 mila euro sempre per pilotare alcune sentenze, tra cui quella relativa ad un contenzioso che la società Open Land, difesa da Amara, aveva con il Comune di Siracusa.

In particolare, il giudice del Consiglio di Stato, De Lipsis, attraverso la nomina di consulenti graditi ad Amara e Calafiore, riesce a ottenere un risarcimento dal comune siciliano di 24 milioni euro in favore della Open Land, di cui ne saranno elargiti soltanto due poco prima che venisse alla luce l’inchiesta dei magistrati capitolini. De Lipsis per questo servizio ottiene una tangente di 30mila euro.
In ultimo De Lipsis interviene a favore di Giuseppe Gennuso nel ricorso presentato dopo la sua mancata elezioni alle amministrative del 2012.
Il Tribunale amministrativo infatti annullò quel risultato elettorale e Giannuso venne rieletto all’Assemblea della Regione Sicilia. Anche in questo caso la tangente per De Lipsis è stata di 30mila euro che gli sono stati consegnati dall’ex-giudice della Corte di Conti, Luigi Pietro Maria Caruso.