Salario minimo, l’inquietante scoperta di Milena Gabanelli – VIDEO

 

Ecco cosa ha scoperto Milena Gabanelli sugli stipendi degli italiani e sul salario minimo. Il nuovo Dataroom.

Gli stipendi in Italia stanno costantemente diminuendo, con un calo dei poteri d’acquisto che si è aggravato rispetto ad altri Paesi sviluppati, secondo i dati dell’Ocse. Negli ultimi 30 anni, l’Italia ha sperimentato un calo dei salari reali, e solo nell’ultimo anno hanno subito una diminuzione del 7%. Nonostante questa situazione, i partiti al governo sembrano esitare nell’affrontare il problema del salario minimo.

Stipendi bassi

’opposizione, escluso Italia Viva, ha proposto di affrontare la questione introducendo un salario minimo legale di 9 euro lordi l’ora, corrispondenti a un guadagno mensile di 1.550 euro lordi su 12 mensilità (circa 1.200 netti) per un dipendente a tempo pieno. Nonostante questa cifra sia considerata a malapena sufficiente per sostenere la vita quotidiana, le statistiche dell’Istat rivelano che quasi 3 milioni di dipendenti guadagnano mediamente 804 euro in meno all’anno rispetto a questa proposta. Tuttavia, i partiti di governo sembrano restare riluttanti.

Nel contesto europeo, 22 dei 27 Paesi dell’Unione Europea hanno già adottato il salario minimo, ancorato al costo della vita e alle condizioni del mercato del lavoro. Anche tra i Paesi Ocse, 30 dei 38 applicano questa politica. Ad esempio, in Germania il salario minimo mensile lordo non scende al di sotto di 2.080 euro, in Belgio è di 1.900 euro, in Francia di 1.750, e in Spagna di 1.250. Al contrario, in Italia, Finlandia, Svezia, Danimarca e Austria, non esiste un salario minimo orario. L’introduzione del salario minimo di 9 euro lordi comporterebbe un aumento complessivo dei salari di oltre 2,8 miliardi di euro per le imprese.

Alcuni critici della misura temono che il salario minimo possa avere l’effetto contrario, spingendo le imprese a pagare in nero e portando via i lavoratori dai contratti regolari. Tuttavia, nei Paesi europei che hanno implementato il salario minimo, questa preoccupazione non si è concretizzata. Al contrario, il lavoro non dichiarato rimane un problema persistente in Italia e richiede maggiori sforzi di controllo.

Il ruolo del CNEL sul salario minimo

Il Cnel, su richiesta del governo, si è espresso contro l’introduzione di un salario minimo legale, con 39 consiglieri contrari su 62. Il Cnel ritiene che non sia necessario, poiché in Italia la contrattazione collettiva definisce già salari minimi per ciascun settore. La Commissione europea condivide questa opinione, sostenendo che un salario minimo contrattato è preferibile a uno stabilito per legge. In Italia, la contrattazione tra le parti sociali copre almeno il 95% dei lavoratori, mentre solo lo 0,4% è soggetto a contratti con sindacati minori o pirata. Tuttavia, questi numeri non riflettono completamente la realtà.

La Fondazione dei consulenti del lavoro ha identificato 22 contratti di categoria, firmati da Cgil, Cisl e Uil, con salari inferiori a 9 euro lordi l’ora. Questi contratti coinvolgono diverse categorie di lavoratori, inclusi quelli delle cooperative, delle imprese di pulizia, dell’industria delle calzature e altri settori. Questi salari al di sotto dei 9 euro lordi evidenziano che la contrattazione in molti settori fatica a garantire salari dignitosi.

La frammentazione dei settori industriali porta alla creazione di numerosi contratti. In molti casi, i comparti, come il settore alimentare, il tessile e i servizi, si frammentano in vari sottosettori, ciascuno con un proprio accordo. Questo porta spesso a stipendi più bassi e minori garanzie per i dipendenti. La mancanza di rappresentatività sindacale in alcuni settori contribuisce ulteriormente a questa situazione.

La contrattazione nazionale

 

 

La maggior parte dei contratti nazionali è scaduta da tempo, coinvolgendo circa il 57% dei lavoratori dipendenti. Questa percentuale aumenta al 96% nei servizi, dove i contratti di associazioni come Confcommercio, Confesercenti e Federdistribuzione sono scaduti nel 2019. Si stima che circa 7,5 milioni di lavoratori sono coinvolti in questa situazione e devono far fronte all’aumento dei prezzi.

Sono stati identificati 353 contratti nazionali firmati da sindacati non rappresentati al Cnel, spesso da associazioni di comodo. Questi contratti interessano 54.000 lavoratori e comportano accordi che riducono i diritti dei dipendenti. La Fondazione consulenti del lavoro ha proposto un’alternativa, basata sulla rappresentanza sindacale e sull’adozione dei contratti più rappresentativi per ciascun settore, stabilendo una paga minima e vietando accordi peggiorativi.