Referendum, scoppia la polemica: l’invito a non andare al voto fa discutere

Il clima politico si fa incandescente a pochi giorni dal referendum previsto per l’8 e 9 giugno. Stavolta, però, non sono i contenuti dei quesiti referendari a tenere banco nel dibattito pubblico, ma il tema della partecipazione al voto. Le recenti dichiarazioni di esponenti della maggioranza, che hanno invitato gli elettori a non recarsi alle urne, hanno acceso la miccia delle polemiche. Le opposizioni denunciano una strategia deliberata per indebolire la consultazione popolare, definendo l’appello all’astensione come un vero e proprio attacco alla democrazia.

Il rischio quorum e la paura dell’astensionismo

Uno degli aspetti centrali di questa tornata referendaria è il raggiungimento del quorum, ovvero la soglia minima di partecipazione necessaria affinché il referendum sia valido. Le probabilità che questa soglia venga superata sembrano sempre più basse, alimentando timori e tensioni trasversali tra i partiti. Anche le ultime elezioni amministrative in Trentino-Alto Adige hanno registrato una bassa affluenza, segno di un trend preoccupante che potrebbe ripetersi anche l’8 e 9 giugno.

L’astensionismo rappresenta una minaccia soprattutto per chi sostiene i cinque quesiti referendari, molti dei quali toccano temi sociali delicati come la cittadinanza, la sicurezza sul lavoro e i diritti dei lavoratori. “Il traguardo è difficile da raggiungere”, ha ammesso il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, da sempre impegnato nel promuovere l’inclusione e la cittadinanza attiva.

Elly Schlein (PD): “Tutti alle urne per la dignità del lavoro”

Nonostante il clima teso, alcune forze politiche continuano a promuovere con convinzione la partecipazione al voto. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha rilanciato l’appello agli elettori a recarsi alle urne. “Partecipare è un atto di responsabilità – ha dichiarato – i cittadini hanno un’occasione concreta per far sentire la propria voce su temi fondamentali come la dignità e la sicurezza del lavoro”.

All’interno del PD si valuta anche la possibilità di convocare un’assemblea nazionale per ribadire pubblicamente il sostegno ai cinque sì. Tuttavia, questa iniziativa potrebbe concretizzarsi soltanto dopo il voto, per evitare ulteriori divisioni e concentrare gli sforzi sul fronte della mobilitazione.

Le opposizioni insorgono contro l’invito all’astensione

La reazione delle opposizioni all’invito all’astensione non si è fatta attendere. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha criticato duramente la presa di posizione della maggioranza, sottolineando il rischio di aggravare la crisi di partecipazione democratica in Italia. Sebbene il M5S mantenga una posizione prudente su alcuni quesiti, in particolare quello relativo alla cittadinanza, Conte ha ribadito l’importanza di un’ampia partecipazione popolare.

Ancora più duro Riccardo Magi, esponente di +Europa, che ha definito “vergognoso” e “illiberale” l’invito all’astensione lanciato dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Magi ha accusato Tajani di ispirarsi a modelli autoritari, facendo un paragone diretto con il premier ungherese Viktor Orbán. “Questo è un insulto al Presidente della Repubblica e ai cittadini che hanno sostenuto la raccolta firme per arrivare al referendum”, ha dichiarato.

Anche il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, è intervenuto nel dibattito, citando il discorso del Capo dello Stato del 25 aprile come esempio di richiamo alla partecipazione attiva. “Quando un partito di governo invita a non votare, sta compiendo un errore politico grave e pericoloso per la tenuta democratica del Paese”, ha affermato Landini.

Astensione come strategia politica: timori per la tenuta democratica

Secondo molti analisti, l’invito all’astensione da parte di alcuni esponenti della maggioranza non è solo una mossa tattica per evitare il raggiungimento del quorum, ma riflette anche una visione della democrazia sempre più delegittimata. Invece di promuovere la partecipazione, alcuni partiti sembrano puntare a delegittimare lo strumento referendario, accusato in passato di generare “paralisi legislativa”.

Questa strategia rischia però di ritorcersi contro chi la adotta, perché alimenta un clima di sfiducia e disillusione tra i cittadini, già provati da anni di crisi economica e sociale. Il pericolo, come evidenziato da molte voci autorevoli, è che si consolidi una cultura dell’apatia civica, in cui il diritto di voto viene percepito come inutile o inefficace.

Il dibattito sulla riforma elettorale torna d’attualità

In parallelo alla polemica sull’astensione, è tornato alla ribalta anche il dibattito sulla riforma della legge elettorale. Alcuni osservatori parlano di trattative informali tra maggioranza e opposizioni, ma i leader dei principali partiti di opposizione smentiscono categoricamente.

Elly Schlein ha negato qualsiasi contatto in tal senso: “Non c’è stato alcun confronto sulla legge elettorale”, ha dichiarato. Giuseppe Conte ha confermato: “Non abbiamo ricevuto nessuna proposta. Quando ci sarà, la valuteremo nei tempi e nei modi opportuni”. Al momento, dunque, si tratta più di voci di corridoio che di un vero processo di riforma in atto.

Bonelli (AVS): “Distrazione di massa dai problemi reali”

Secondo Angelo Bonelli, leader di Alleanza Verdi e Sinistra, il rilancio del tema della riforma elettorale ha il sapore della distrazione di massa. A suo giudizio, si tratta di una mossa della maggioranza per evitare di affrontare i nodi reali che affliggono il Paese: la disoccupazione, i salari troppo bassi e le disuguaglianze crescenti. “Forse Giorgia Meloni teme che emergano divisioni all’interno della sua stessa coalizione”, ha dichiarato Bonelli.

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