Quella sinistra che nega l’evidenza: Giulietti trasforma gli agenti di Trieste in “morti sul lavoro”

 

Vietato dire che li hanno ammazzati. Meglio dire che «sono rimasti uccisi». Vietato dire che li ha freddati un pazzo o un criminale o entrambe le cose – si vedrà – che ha sparato a bruciapelo. Meglio dire che sono «morti sul lavoro». A leggere i commenti di certa sinistra sembra quasi che gli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, uccisi a Trieste, siano morti per una tragica fatalità. Magari per un ramo caduto sulla loro auto. E non, come è stato, perché il domenicano Alejandro Augusto Stephan Meran li ha assassinati sparando all’improvviso oltre 20 colpi da due pistole.

I poliziotti di Trieste diventano «morti sul lavoro»
A farsi notare per questa vergognosa narrazione è stato, per primo, il presidente della Camera, Roberto Fico, che anche dallo scranno più alto di Montecitorio non sembra mai dimenticare la sua formazione nei centri sociali. Per lui i due poliziotti sono «rimasti uccisi». È andato oltre Beppe Giulietti, già deputato di sinistra e oggi presidente della Federazione nazionale stampa italiana. Giulietti si è premurato di cinguettare che «i due poliziotti uccisi a Trieste vanno considerate due vittime di quella infinita strage che si chiama morti sul lavoro».

Giulietti e la #psichiatriademocratica
Entrambi ne hanno ricavato una sequela di critiche e talvolta di veri e propri insulti da parte degli utenti twitter, che hanno percepito e rigettato il tentativo di minimizzare e perfino mistificare quanto successo a Trieste. Fra gli altri a rispondere è stato anche il direttore del Secolo d’Italia, Francesco Storace, che se a Fico ha dedicato un articolo per ricordare che «deve rispettare quei poliziotti assassinati e non “rimasti uccisi”», a Giulietti ha replicato nell’unico modo possibile: «Il tuo modo di twittare invece è #psichiatriademocratica».