Perché le parole “non vengono”? Attenzione, può essere il primo sintomo di…”
Comunicare è fondamentale. Con la parola si esternano emozioni, peraltro disparate. Si passa dal ridere di gusto, all’urlare di sofferenza. Del resto, come dimenticare il giorno in cui nostro figlio ha pronunciato i suoi primi versetti? Impossibile, rimane impresso per sempre nelle nostre menti.
Eppure, non solo nei casi di Alzheimer, accade che, tutto ad un tratto, le parole non ci vengono più, come se non uscissero dalal nostra bocca. Parliamo della classica sensazione di avere un vocabolo “sulla punta della lingua” ma niente da fare, non viene fuori. La sensazione è tremenda. C’è chi avverte imbarazzo, chi ci scherza su e chi va nel panico più totale.
Sono in parecchi che, senza esitare nemmeno un istante, vanno sul pc a caccia di spiegazioni a questo sintomo che, per davvero, sembra essere preoccupante. Perché le parole non escono? Può sembrare una domanda banale, ma non lo e’.

La scienza, oggigiorno, non ci lascia sfuggire nulla e prova a trovare una spiegazione a tutto. Uno studio, in particolare, è davvero molto interessante ed è di questo che vi parleremo a brevissimo, in quanto fornisce una risposta a molti interrogativi degli utenti.
Perché le parole “non vengono”? Gli esperti ci mettono in guardia, dicendo di fare attenzione, in quanto può essere il primo sintomo di…

La sensazione di avere le parole «sulla punta della lingua» ma di non riuscire a tirarle fuori è bruttissima. A chiarircela è la dottoressa Elena Dusi, in un ‘intervista rilasciata a Repubblica, dicendo che nel farla, mobilitiamo le aree cerebrali come l’ippocampo e la corteccia, che a volte ci suggeriscono quella sbagliata.
Giorgio Fiore, neurochirurgo dell’Irccs Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, spiega che dimenticare le parole non è quasi mai un segno di demenza ma che il fenomeno può avere svariate cause, in primis invecchiamento e perdita di neuroni per via dell’età, stress, multitasking, disattenzione e carenza di sonno.
Dopo aver condotto una ricerca all’University College London, su persone epilettiche, è arrivato alla conclusione che non solo l’ippocampo, ma anche la corteccia cerebrale gioca un ruolo importante per la memoria, conservandone gli schemi che possiamo paragonare a impalcature o scaffali. Su questi ultimi apponiamo i ricordi, come se fossero libri. Immaginiamo di disporli disordinatamente e che volta che impariamo una parola nuova il cervello cerca di fargli posto fra quelle già note, cercando di capire quanto sia importante e diversa dalle altre..

Fiore ha precisato che quando proviamo a ricordare «si attiva un gioco di squadra fra ippocampo e corteccia, in particolare la corteccia pre-frontale. Una terza area, quella del cingolo, funge da ponte. Il direttore d’orchestra del processo è comunque l’ippocampo. È lui a selezionare le aree della corteccia, cioè gli scaffali, dove collocare una nuova memoria».
Se si perde la memoria, a volte, è per via della riduzione del numero di cellule che si occupano di far funzionare il meccanismo, un fenomeno normale con l’età. ma che può essere attenuato con l’attività fisica». Nello studio è stato evidenziato che il consumo eccessivo di alcool, la scarsa attenzione, il multitasking, remano contro al mantenimento della memoria. Nel cervello quando si cerca una parola dimenticata, viene indetta un’elezione. La corteccia cerebrale ripescherà dai suoi scaffali 3 o 4 parole che potrebbero descriverla, mentre sarà l’ ippocampo a decretare la parola giusta.