Perché gli Usa hanno attaccato l’Iran e sono entrati in guerra

Un attacco senza precedenti ha scosso il Medio Oriente e rimodellato l’equilibrio geopolitico globale: gli Stati Uniti hanno bombardato tre siti nucleari strategici in Iran, utilizzando ordigni bunker buster capaci di penetrare profondamente nel terreno prima di esplodere. L’operazione, denominata “Rising Lion”, è stata condotta in piena coordinazione con le forze israeliane e ha preso di mira le centrali di Fordow, Natanz e Isfahan, considerate da Washington e Tel Aviv come i pilastri del controverso programma nucleare iraniano. Il presidente Usa si è rivolto alla nazione in un discorso televisivo nel quale ha dichiarato: “Ora è il momento per la pace, l’Iran deve accettare la fine di questa guerra”.

Perché gli Usa hanno attaccato l’Iran e sono entrati in guerra

Ma è una pace annunciata con il boato delle bombe. L’attacco ha ricevuto il plauso immediato del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, che ha rivendicato un coordinamento totale con l’amministrazione americana: “Io e il presidente Trump diciamo spesso, ‘la pace attraverso la forza’. Prima viene la forza, poi viene la pace”. In un video diffuso in lingua ebraica e successivamente anche in inglese, il premier ha definito “storico” l’intervento statunitense, ringraziando Donald Trump per “una decisione coraggiosa che cambierà la storia”. Lo stesso ex presidente Usa, su Truth Social, ha confermato che tutti gli aerei impiegati sono rientrati sani e salvi: “Congratulazioni ai nostri grandi guerrieri americani. Nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare questo”.

La reazione dell’Iran non si è fatta attendere. Un’ondata di missili è stata lanciata verso Israele: secondo la televisione di Stato iraniana sarebbero circa 30 i razzi sparati contro il territorio israeliano, provocando forti esplosioni nel centro di Tel Aviv. Le sirene d’allarme hanno risuonato in tutta l’area metropolitana e, come riportato dall’agenzia Ansa presente sul posto, alcune zone della città hanno subito ingenti danni. I soccorritori hanno confermato distruzioni significative in più punti di impatto. L’Idf – l’esercito israeliano – aveva diramato poco prima un’allerta per il possibile attacco missilistico proveniente direttamente dal territorio iraniano.

Intanto, le parole del ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, delineano una posizione netta e minacciosa. In un post pubblicato su X, il diplomatico ha definito gli attacchi statunitensi “oltraggiosi” e “criminali”, promettendo che “quanto accaduto questa mattina avrà conseguenze eterne”. Araghchi ha inoltre invocato l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che garantisce il diritto all’autodifesa, affermando che l’Iran “si riserva tutte le opzioni per difendere la propria sovranità, i propri interessi e il proprio popolo”.

Il messaggio lanciato dai Guardiani della Rivoluzione iraniani ha alzato ulteriormente la tensione: “Adesso è iniziata la guerra”, si legge su un post pubblicato sull’account ufficiale X del corpo militare d’élite iraniano. Il linguaggio usato non lascia spazio a interpretazioni. Per Teheran non si tratta solo di una rappresaglia ma dell’avvio di un nuovo e incerto capitolo del conflitto regionale, con potenziali ripercussioni anche a livello globale.

Fonti diplomatiche citate dalla Cbs hanno riferito che gli Stati Uniti, dopo l’attacco, avrebbero cercato un canale di comunicazione con l’Iran per chiarire che l’operazione non rappresenta l’inizio di un tentativo di cambio di regime e che non sono previste ulteriori offensive. Tuttavia, questo tentativo di ridurre l’escalation appare già compromesso dal fuoco incrociato di missili e dichiarazioni infuocate da entrambe le parti.

L’operazione militare statunitense, supportata logisticamente e strategicamente da Israele, rappresenta un punto di non ritorno nelle relazioni tra Washington e Teheran. La scelta di colpire impianti di importanza nevralgica come Fordow e Natanz, già al centro delle preoccupazioni internazionali per l’arricchimento dell’uranio, fa presagire una volontà di fermare con la forza ciò che finora la diplomazia non è riuscita a contenere.

In questo scenario teso e drammatico, le dichiarazioni dei leader mondiali sembrano procedere su binari paralleli: da un lato si inneggia alla pace, dall’altro si usano armi ad alta penetrazione per minare l’infrastruttura strategica di un paese nemico. A pagarne le conseguenze, come sempre, potrebbero essere milioni di civili, sia israeliani che iraniani, mentre la diplomazia internazionale osserva impotente l’inizio di un nuovo, potenzialmente devastante, fronte di guerra.