“Ong? Quest’anno tutto tace” I pm non indagano sulle navi

Questa volta nei giorni scorsi la Sea Watch 3, dopo il provvedimento di sequestro amministrativo, è entrata nel porto di Porto Empedocle per rimanerci a tempo indeterminato: qui, nello scalo entrato prepotentemente sotto i riflettori nelle ultime settimane per via delle ultime vicende legate all’immigrazione, la nave dell’omonima Ong tedesca aveva fatto il suo ingresso il 21 giugno scorso per lo sbarco di 211 migranti.

Tra questi, si è scoperto poi nelle ore successive, 28 erano positivi al coronavirus. Tutti sono stati dirottati all’interno della Moby Zazà, la nave dove dallo scorso maggio, stazionando il più delle volte in rada proprio a Porto Empedocle, vengono accolti i migranti in quarantena tra polemiche e non pochi segnali di insofferenza da parte della popolazione locale.

Dopo quello sbarco la Sea Watch 3 era rimasta in rada, per alcuni giorni al suo fianco era possibile scorgere la Ocean Viking, la nave dell’Ong francese Sos Mediterranée che lunedì ha portato altri 180 migranti sulla Moby Zazà. Come detto, la Sea Watch 3 è rientrata in porto ma solo perché raggiunta da un provvedimento di sequestro.

Si tratta, in particolare, di un fermo amministrativo a seguito di alcune irregolarità riscontrate durante i controlli da parte della Guardia Costiera. Per cui, la Sea Watch 3, la stessa nave usata nel giugno scorso da Carola Rackete per speronare a Lampedusa una motovedetta della Guardia di Finanza, resterà ancorata in attesa di sviluppi. Uno scenario che ricorda da vicino quanto già visto in altre occasioni: una nave Ong sequestrata dopo alcuni controlli, un fermo amministrativo che fa gridare i membri delle organizzazioni alla “persecuzione” nei loro confronti ed infine settimane di intense pressioni mediatiche, soprattutto sui social, al fine di “liberare” i mezzi sequestrati.

La stessa Sea Watch 3 lo scorso anno è rimasta ancorata poco più lontano da dove è ferma adesso, ossia a Licata: qui, dopo i sopra ricordati fatti di Lampedusa, la nave è rimasta sotto sequestro fino al 25 settembre, ma le ancore sono state tolte soltanto a dicembre. Infatti, il mezzo dopo il dissequestro da parte della Procura è rimasto a motori spenti per via del fermo amministrativo. Quest’ultimo è stato abrogato soltanto dopo l’accoglimento del ricorso fatto dall’Ong tedesca al tribunale civile di Palermo. Ma quello terminato a dicembre non è stato l’unico sequestro amministrativo della nave battente bandiera tedesca. Già a febbraio del 2019 infatti, la capitaneria aveva riscontrato 32 irregolarità a bordo della Sea Watch 3, rimasta per diverse settimane ancorata a Catania.

Di atti relativi a fermi amministrativi nei confronti delle navi Ong se ne contano comunque diversi. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati quelli emanati sulla Alan Kurdi e la Aita Mari, i mezzi usati rispettivamente dall’Ong tedesca Sea Eye e quella spagnola Salvamento Humanitario Maritimo per gli unici sbarchi registrati da navi cosiddette umanitarie durante il lockdown. Dopo alcune settimane di fermo a Palermo, entrambi i mezzi hanno poi nuovamente potuto riprendere il largo.

Stessa sorte per le altre navi Ong in passato raggiunte dai fermi amministrativi: dalla Mare Jonio, che a fine anno aveva avviato una campagna social per chiedere la “liberazione” del mezzo rimasto sotto sequestro amministrativo a Palermo, fino alla Open Arms. Quest’ultima per diverse settimane è stata ancorata lì dove per adesso è piazzata la Sea Watch 3: la nave spagnola infatti, è stata fatta entrare nell’agosto scorso a Porto Empedocle dopo il sequestro operato dalla procura di Agrigento il 20 di quel mese, episodio quello che ha dato il via al procedimento giudiziario portato avanti dal tribunale dei ministri di Palermo contro l’allora ministro Matteo Salvini.

Anche la Open Arms poi, così come accaduto nelle altre occasioni che hanno coinvolto navi Ong, è stata dissequestrata. Come si può vedere dunque, spesso dopo uno sbarco sono state notate delle irregolarità a bordo dei mezzi usati dalle organizzazioni, tanto da arrivare sovente poi al provvedimento di fermo. Tuttavia, dopo un certo periodo di tempo tutte le navi hanno potuto riprendere il largo. E nonostante le accuse lanciate nei confronti dell’Italia su Twitter, anche l’Ong Sea Watch sa bene che il suo caso è molto simile ad altri accaduti nei mesi scorsi conclusi con i dissequestri.

 

Una differenza tra questo episodio e gli altri occorsi soprattutto tra il 2019 e l’inizio del 2020 però è possibile rintracciarla: il fermo amministrativo arrivato nei mesi precedenti era quasi sempre preceduto dal provvedimento di sequestro delle procure dovuto alle indagini avviate a seguito degli sbarchi. In questa occasione invece il sequestro è solo amministrativo, nessuna indagine è stata avviata in questa estate dalla procura di Agrigento, la stessa che tra il 2018 ed il 2019 ha aperto i fascicoli sui casi Diciotti, Mare Jonio, Sea Watch ed Open Arms.
“Quest’anno tutto tace – ha dichiarato una fonte vicina alla Procura della città dei templi – Sulla Sea Watch 3 c’è solo un fermo amministrativo, non ci sono fascicoli aperti. Anche sugli sbarchi precedenti, non dovrebbero esserci inchieste”. Per il momento nei cassetti della procura agrigentina ci sono i fascicoli del caso Mare Jonio, per il quale a gennaio è stata chiesta l’archiviazione per Luca Casarini e Piero Marrone, e dell’indagine su Carola Rackete per la quale invece sono stati chiesti altri sei mesi di indagine.

“Sulle Ong nessuna novità – fanno sapere ancora dai corridoi del tribunale di Agrigento – Nuove indagini non ne sono state avviate”.