“Nessuno dei nostri ha chiesto il bonus”. È giallo sui nomi dei furbetti

La questione dei deputati “furbetti” non è stata ancora risolta e continua a tenere banco: sarebbero 5 coloro che farebbero parte della casta e avrebbero incassato il bonus da 600 euro.

La misura era stata prevista dal governo, considerando la drammatica crisi provocata dall’emergenza Coronavirus, a favore delle partite Iva e di alcune specifiche categorie di autonomi. Tuttavia, vista l’eccezionale portata della situazione, non era stata introdotta alcuna distinzione di reddito tra i lavoratori. A scoprire il magheggio è stata la Direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza dell’Inps; a trarre vantaggi sarebbero stati anche circa 2mila figure politiche tra assessori regionali, consiglieri regionali e comunali, governatori e sindaci.

Fin da subito è partita la caccia ai “furbetti”: il dito è stato puntato contro tre politici della Lega, uno del Movimento 5 Stelle e uno di Italia Viva. Ma è ancora giallo, visto che da Ettore Rosato è arrivata una secca smentita sul coinvolgimento dei renziani: “A noi di Italia Viva non risulta che alcun parlamentare appartenente al nostro gruppo abbia chiesto il bonus“. Il coordinatore nazionale di Iv ha usato parole durissime nei confronti dell’Istituto nazionale previdenza sociale: “Questo modo di fare servizio pubblico da parte dell’Inps è barbaro“. Pertanto ha chiesto in maniera formale o di “smentire la notizia del nostro coinvolgimento” oppure di “rendere pubblici i nomi“.

Pressing sui nomi

Quest’ultimo invito è stato avanzato anche da Luigi Di Maio, che nella giornata di ieri ha preso una posizione chiarissima: “Siamo davanti a fatti di una gravità assoluta“. Il pressing del ministro degli Esteri ha l’obiettivo di rendere pubblici i nomi dei 5 deputati, anche per una questione di rispetto verso gli italiani che hanno il diritto di sapere gli autori di tale gesto: “Questa gente non deve più avere l’occasione di rivestire una carica pubblica. Deve essere allontanata dallo Stato, deve essere punita. Non possono e non devono passarla liscia“.

Sulla stessa linea Carlo Calenda, il quale ha comunque voluto sottolineare che a essere sbagliata in principio è stata la legge: il governo ha provato già a giustificarsi, specificando che la fretta di fornire aiuti economici non ha consentito di prevedere dei paletti. Il leader di Azione è convinto che i nomi usciranno poiché non ci sarebbe la base legale per tenerli segreti: “L’Inps dovrebbe fornire quei nomi. Sennò si crea la sensazione della casta si autodifende“. Lo ritiene un fatto gravissimo e perciò pretende chiarezza: “Questi si devono andare a nascondere in Kamchatka. I nomi vanno fatti, non c’è privacy quando si parla di soldi pubblici“.