NEONATO MORTO IN OSPEDALE, SPUNTA IL TESTIMONE: “HO CHIAMATO IO L’INFERMIERA E…”

Una notizia davvero raggelante ha lasciato letteralmente sconvolti tutti gli italiani. Parlo della morte del neonato, di soli tre giorni di vita, avvenuta l’8 gennaio 2023 all’ospedale Pertini di Roma. Una tragedia attorno alla quale è doveroso far chiarezza, in nome di quella giustizia e verità che non devono e non possono rimanere sulla carta.

Gli esami tossicologici disposti sulla madre del piccolo, una donna di 30 anni, sono risultati negativi, quindi è escluso che fosse sotto l’effetto di farmaci o altre sostanze la notte in cui si è addormentata con il bambino nel letto accanto a lei,sino al tragico epilogo.

L’ipotesi più plausibile della terribile tragedia che ha portato al decesso del piccolo, avvenuto l’8 gennaio, è che la madre, stremata a livello fisico e psicologico, dopo 17 ore di travaglio ed il parto, sia caduta in un sonno profondissimo e che, con il suo peso, abbia schiacciato il figlioletto, soffocandolo.

Questa, per dovere di cronaca, è solo un’ipotesi che dovrà essere confermata o smentita dai risultati dell’esame autoptico, effettuato sul corpicino senza vita del bimbo.

In queste ore è spuntata una testimonianza che, se accertata come vera, potrebbe portare ad una ricostruzione davvero agghiacciante, in cui dovranno essere bene attribuite eventuali responsabilità. Ma vediamo, in dettaglio, a che punto sono le indagini e, soprattutto,  cosa ha dichiarato il testimone.

Sin da quando la notizia del decesso del neonato di soli 3 giorni si è diffusa, in tante sono state le donne e, in genere, i genitori, che hanno detto la loro sulla pratica della rooming-in, che prevede che mamma e bambino condividano la stessa stanza giorno e notte; una pratica che molte neomamme ritengono “spietata”.  Dal suo canto, l’ospedale Pertini, in una nota, ha chiarito il suo punto di vista. Riguardo alla carenza di personale, ha precisato che ” viene assicurata un’adeguata presa in carico e il rispetto dei requisiti organizzativi previsti dalla normativa vigente”, sottolineando che ” tutte le donne che accettano la pratica del rooming-in vengono informate delle corrette azioni da tenere e dei rischi connessi alla gestione del bambino”, firmando anche un apposito modulo, e che vi sono best practice da tenere per sorvegliare mamma e neonato.

La madre del piccolo, in queste ore, ha dichiarato: “Sto leggendo le dichiarazioni rilasciate dalla Asl 2. Dicono che hanno garantito tutta l’assistenza necessaria, che alle puerpere viene fatta firmare un’autorizzazione a tenere i figli con loro. Bellissime parole, peccato non siano veritiere, aggiungendo: “Ho chiesto aiuto e mi hanno detto no”. La donna, al Messaggero, ha ribadito di aver chiesto più volte in reparto di essere aiutata in quanto non ce la faceva da sola e di portare per qualche ora il bambino al nido per permetterle di riposare ma le sarebbe stato detto sempre di no.

La procura di Roma sull’accaduto ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, attualmente a carico di ignoti, mentre si attende l’esito dell’autopsia che chiarirà se il bambino sia effettivamente morto per soffocamento o perché sono intervenute altre cause. Intanto, però, è arrivata una nuova testimonianza: quella della compagna di stanza della donna che ha perso tragicamente il suo bambino. Secondo quanto riportato dal Corriere, la notte tra il 7 e l’8 gennaio, sarebbe stata lei a notare che qualcosa non andava.

Intorno all’una, nel voltarsi e nel chiamarla, la 30enne non ha risposto e la testimone ha subito capito che il neonato rischiava di soffocare sotto al suo peso, dato che si era addormentata in preda ad una fortissima stanchezza. Sarebbe stata, dunque, proprio la compagna di stanza a chiamare l’infermiera, che è intervenuta subito, anche se per il piccolo era ormai troppo tardi. La testimonianza della compagna di stanza della mamma del neonato morto potrebbe essere importantissima per l’avvocato Alessandro Palombi che, insieme all’avv. Michela Tocci difende la donna e il fidanzato. Il legale della coppia ha già dichiarato che la sua prossima mossa sarà quella di presentare denuncia in Procura la settimana prossima, documentata con una investigazione difensiva.

Il pm Maria Sabina Calabretta deve accertare possibili responsabilità per negligenza e impudenza imputabili al personale che avrebbe dovuto prestare assistenza alle neo-mamme, partendo dalla verifica di quali e quanti controlli siano stati fatti nella notte della tragedia dagli infermieri che erano di turno. Capiamo benissimo quanto sia doveroso accertare se per davvero sia stata l’altra donna presente nella stanza, quindi una paziente, a comprendere quanto stava accadendo e non un’infermiera.