“Meloni peggio della Fornero!”. Riforma delle pensioni, esplode la rabbia degli italiani: ecco cosa cambia e perché ci sono già tante proteste

 

Pronti via, è subito esplosa una feroce polemiche per le scelte annunciate dal governo Meloni sul fronte della riforma delle pensioni. Con tantissime proteste esplose in rete: per alcuni utenti, la premier sarebbe addirittura riuscita a peggiorare la legge Fornero. Il motivo? Presto detto. Nel mirino sono finiti diversi tagli e l’inasprimento di alcuni requisiti. Vediamo nel dettaglio cosa cambia. Nel 2024 si potrà accedere alla pensione di vecchiaia con 67 anni di età e almeno 20 di contribuzione (quota 87). Nel 2025, invece, è probabile un aumento a 67 anni e 2 o 3 mesi. Quota 103, che consentiva di andare in pensione anticipata con 62 anni di età e 41 di contributi, dal 2024 cambierà.

Vengono sì mantenuti i requisiti di 62 anni con 41 di contributi, ma l’intera pensione sarà calcolata con il metodo di calcolo contributivo anche per la parte di anzianità che fino a fine anno resta calcolata con il metodo retributivo. Inoltre, l’assegno non potrà risultare superiore a quattro volte il trattamento minimo Inps (2.272€ euro lordi al mese) sino al compimento dell’età di 67 anni. Altro tema discusso è l’inasprimento delle cosiddette “finestre mobili” vale a dire il periodo intercorrente tra la maturazione dei requisiti (62 anni e 41 anni di contributi) e la fruizione della prima rata di pensione. Si passa dai tre mesi previsti dalla norma per il 2023, a 7 mesi per i dipendenti privati e da 6 mesi a 9 mesi per i dipendenti pubblici. (Continua a leggere dopo la foto)
riforma pensioni cosa cambia

La contestata riforma delle pensioni prevede anche che per chi opta per quota 103 (come per quota 100 e 102) ha il divieto di lavorare e quindi non potrà cumulare redditi da lavoro con quelli da pensione fino al raggiungimento dei 67 anni di età. Secondo il Corriere della Sera, “resta confermata la possibilità per il lavoratore dipendente che dopo aver maturato i requisiti per accedere a una delle forme pensionistiche, continua a lavorare di chiedere che la contribuzione a suo carico pari al 9,19% venga inserita in busta paga mentre la quota a carico del datore di lavoro continuerà ad essere versata all’Inps. Tuttavia, la parte di contributi incassata in busta paga non contribuirà ad incrementare la propria pensione e però verrà assoggettata a tassazione Irpef. Insomma, un affare per lo Stato ma non per il lavoratore”. Anche “Opzione donna”, che prevedeva la possibilità di pensionamento anticipato per le lavoratrici con 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 per le autonome), è stata resa più restrittiva. (Continua a leggere dopo la foto) 

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Nel 2024 potranno accedere a “Opzione donna”, come per il 2023, solo le lavoratrici licenziate o dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero; le donne con disabilità pari o oltre il 74% e quelle che assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilità grave in base alla legge 104, di primo o secondo grado di parentela solo in quest’ultimo caso per ultra 70enni. E poi: il requisito anagrafico passa da 60 a 61 anni, sempre con 35 anni di contribuzione. Cosa altro cambia con questa riforma delle pensioni? Anche per l’Ape Sociale sale il requisito anagrafico: anziché gli attuali 63 anni si potrà accedere con 63 anni e 5 mesi. Inoltre, viene inserita per il 2024 la previsione di incumulabilità totale della prestazione con i redditi di lavoro dipendente o autonomo ad eccezione del lavoro occasionale entro un massimo di 5.000€ annui. Ma anche ‘pr i lavoratori interamente contributivi, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dall’1/1/1996 in poi, cambiano i requisiti per andare in pensione rispetto a quelli previsti dalla riforma Fornero. Vediamo come. (Continua a leggere dopo la foto)

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Nell’anno 2024 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici all’inflazione si applica al valore più basso sull’intero importo: ad esempio la nostra pensione pari a 8 volte il minimo verrà rivaluta interamente al 37% dell’inflazione con una enorme perdita per i pensionati che, non avendo altro mezzo contrattuale devono subire interamente la perdita. Lo ha spiegato bene il Corriere: “Con una inflazione 2022 pari all’8,1% e inflazione 2023 al 5,8% per un totale semplice del 13,9%, un pensionato con prestazione pari a 10 volte il minimo (5.637 euro lordi, circa 3.890 euro netti), dopo aver pagato ogni mese per 13 mensilità oltre 25 mila euro di tasse, si troverà la sua pensione rivalutata solo del 22% (il 3,058% anziché il 13,9%) con una perdita di potere reale d’acquisto in 2 anni del 10,8%; anziché essere rivalutata del 13,9% (783,5 euro) sarà rivalutata del 3,058% (172,4 euro) con una perdita annua di 611,1 euro x 13 mensilità = 7.944,3 euro; se il pensionato vivrà 10 anni e l’inflazione fosse per il decennio del 2%, la perdita sarà di oltre 100 mila euro”.