MARTINA PATTI, LA RICHIESTA DAL CARCERE: DI COSA SI TRATTA

Tutta l’Italia, da nord a sud, ha preso subito a cuore il figlicidio di Mascalucia e quel piccolo scricciolo indifeso, vulcano di energia, allegria, di irrefrenabile vivacità, è diventato, in breve tempo, il “nostro” scricciolo, quello che avremmo voluto stringere forte, per strapparlo da un destino così crudele.

Da lunedì, dal giorno in cui abbiamo appreso quest’ennesimo fatto di cronaca nera, avente per protagonista, suo malgrado, Elena Del Pozzo, una bimba che avrebbe compiuto 5 anni il prossimo 12 luglio, tutti siamo stati pervasi da mille “perché”, in primis “perché una madre è stata capace di così tanto?“.

Non essendo un giudice ma una semplice giornalista, lascio fare agli inquirenti, che stanno lavorando sul caso, senza ombra di dubbio tra i più efferati degli ultimi tempi, il loro mestiere; limitandomi a riportare quel che, ad oggi, sono gli aggiornamenti riguardanti l’omicidio che ha sconvolto il Catanese e il nostro Paese per intero.

Martina Patti, la mamma reo confessa dell’omicidio della figlioletta, resta in carcere. La decisione è arrivata ieri, in serata. Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari Daniela Monaco Crea, che ha convalidato il fermo disposto dalla procura etnea ed emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Sulla mamma killer di Mascalucia, come ribattezzata da molti media dopo la sua confessione, pende l’ipotesi di reati gravissimi: omicidio premeditato e pluriaggravato e occultamento del cadavere. Tanti, tantissimi i dubbi e gli interrogativi, cui occorre dare risposta perché non possiamo non ricordare che, da un lato c’è una donna di 23 anni che ha confessato di aver accoltellato la figlioletta; dall’altro, c’è un padre, Alessandro Del Pozzo, che amava al di sopra di ogni cosa la sua Elena e che non si capacita all’idea che non ci sia più.

Se tutti abbiamo inizialmente pensato a un caso simile a quello di Piera Maggio che cerca disperatamente la sua Denise, quel “Si, Elena l’ho uccisa io, da sola nel campo”, pronunciato dalla Patti, ha subito fatto cadere la pista del sequestro, cedendo il posto all’orrore, all’incredulità, allo sgomento.

Le ricerche, che si sono immediatamente attivate, data la gravità del racconto reso dalla donna, che faceva pensare al rapimento della sua Elena, hanno ceduto il posto, dopo un interrogatorio pieno di incongruenze e tanti non ricordo, prima all’indicazione, fornita dalla stessa Patti, ai carabinieri, del luogo del ritrovamento del corpo, e poi all’agghiacciante confessione: quella di essere stata proprio lei l’autrice del delitto.

Ora Martina è nel carcere di Piazza Lanza a Catania e la sua prima richiesta, una volta varcata la soglia della casa circondariale che segna il confine tra la libertà e la reclusione, ha espresso la sua prima richiesta agli agenti: quella di poter avere i libri dell’università e di poter finire gli studi. La Patti si era iscritta alla facoltà di scienze infermieristiche e le mancavano una manciata di esami alla specializzazione.

I suoi colleghi, quelli che trascorrevano con lei diverse ore della giornata in facoltà, sono sconvolti dall’accaduto e nessuno si sarebbe mai potuto immaginare che quella mamma, così apparentemente amorevole e orgogliosa, potesse compiere un gesto così crudele e straziante. Ecco le parole rilasciate dai suoi compagni universitari: “Martina sembrava sognare quello che volevamo tutti: una famiglia serena e un lavoro solido. Diceva di essere una mamma orgogliosa . Mai ci saremmo aspettati una cosa simile. Era simpatica e tranquilla, una collega con la quale passavamo le pause pranzo”.

Ed ancora: “Martina è stata seduta tra quei banchi insieme a noi per tanti mesi. Sapevamo che era già laureata in scienze motorie e che aveva deciso di specializzarsi in infermieristica perché dava prospettive più solide. Era vicina alla laurea. Ora è tutto finito”.