L’avvocato di Andrea Sempio shock: “L’assassino non è Alberto Stasi, è stato un sicario. Ho un’idea sul mandante”
Con la determinazione di un veterano e la ferma convinzione di difendere l’innocenza del suo assistito, l’avvocato Massimo Lovati, decano dei penalisti di Vigevano, torna a infiammare il dibattito sul “cold case di Garlasco”. In una recente intervista rilasciata al Corriere, Lovati, insieme alla collega Angela Taccia, smonta pezzo per pezzo le presunte prove a carico di Andrea Sempio, accusato dell’omicidio di Chiara Poggi.
“L’impronta di Sempio sul muro? Ha scarsissima valenza. Il dna sulle unghie di Chiara? Idem. Il falso alibi dello scontrino? Nessuna falsità. Quegli strani post? Irrilevanti”, afferma Lovati, con la schiettezza che lo contraddistingue. Il penalista, con oltre cinquant’anni di esperienza alle spalle, non usa mezzi termini: “I pm? Sono i miei avversari”, sottolineando la natura conflittuale del processo.
A 73 anni, Lovati si dice “a cuore l’assurda vicenda di questo giovane innocente che vorrei salvare”. Riguardo all’impronta che ha riacceso l’interesse mediatico, il legale è categorico: “Non ha valore, perché proviene da consulenti di parte. Non li conosco, ma avrò i miei esperti”. Anche di fronte ai 15 punti coincidenti sostenuti dal RIS di Roma, Lovati non arretra: “Fossero anche la Santissima Trinità, io contesto. Sono come San Tommaso, per credere devo vedere”.
Un processo mediatico e indagini “ondivaghe”
L’avvocato non risparmia critiche alle indagini, definendole “condotte male”. “Non ho gradito il capo d’imputazione. È ondivago, impedisce una difesa efficace. Non ho gradito il modo in cui sono state richieste le impronte, senza avvisarmi. E neanche le domande fatte alla madre di Sempio. Il gioco deve essere leale”.
L’intervista tocca anche l’episodio del mancato interrogatorio di Sempio, in cui Lovati vede un’opportunità: “Mancava un requisito formale. Ma è stato meglio così. Se Sempio fosse andato, lo avrebbero colto alla sprovvista.”
Sulla frase “guerra dura senza paura” postata dalla collega Taccia, Lovati ridimensiona la portata: “Questo è un circo. State facendo il processo alla mia giovane collega, poverina, perché ha scritto una frase che non sta né in cielo né in terra e in questo avete ragione. Le è sfuggita, la chiamerei similitudine, un’enfasi se vuole”.
Il mistero dell’assassino: “Un sicario”
Lovati non si limita a difendere Sempio, ma solleva anche dubbi sull’autenticità delle prove. Sull’alibi dello scontrino, ad esempio, afferma: “Ne ho trovato uno anche io del 3 marzo 2020 in casa Sempio. Li conservano, è tutto qui”.
L’avvocato, pur non fornendo elementi concreti, lascia intendere di avere un’idea precisa sull’identità del vero assassino di Chiara Poggi: “Fumo negli occhi”. Sull’assassino, l’avvocato Lovati ammette: “Un’idea ce l’ho, è stato un sicario, ma non la dico. Non ho prove”. E sul possibile mandante? “Anche lì, sì, ma me la tengo”.