La mossa a tenaglia di Salvini: così mette all’angolo il Pd

 

C’è chi gongola, nella Lega. Difficile dire se sia più la soddisfazione di poter “rientrare nelle stanze dove si decide” o se la goduria di aver messo il Pd in un angolo. Checché ne dica Zingaretti (“è la Lega ad essere venuto sulle nostre posizioni”), infatti, nel Carroccio si sorride al tiro mancino ben riuscito contro Bettini&Co.

Certo la svolta pro-Draghi ha disorientato parte dell’elettorato, soprattutto quello più militante, ma chi nel movimento mastica la tattica politica sa che Salvini ha “azzeccato la mossa”, “sparigliato le carte” e “messo in difficoltà gli altri partiti”.

Per capire come mai l’apertura a SuperMario sia così importante bisogna guardare, come sempre, ai numeri. Non ai sondaggi, che forse avrebbero suggerito alla Lega di puntare diritta alle urne per moltiplicare i parlamentari come il pane e i pesci. Ma ai numeri delle Camere, quelle che a breve dovranno votare la fiducia all’ex presidente della Bce. Con Conte il Partito Democratico era la seconda forza della maggioranza, e infatti aveva occupato ministeri di peso (Economia, Trasporti, Difesa), ma con Draghi il quadro cambierà del tutto. C’è un motivo se il segretario del Pd insiste (disperatamente) col puntare ad una maggioranza giallorossa, magari con l’aiuto di Conte auto-proclamatosi garante dell’alleanza per lo sviluppo sostenibile. Qualsiasi allargamento vada oltre Italia Viva, significherebbe per il Pd scendere dalla punta alla base della piramide parlamentare. Per il Conte ter andavano bene i “responsabili” tipo Maria Rosaria Rossi, perché servivano solo a raggiungere quota 161 senza modificare gli equilibri di coalizione. Ma con tutta Forza Italia o la Lega in maggioranza, i rapporti di forza si invertono. La partita si gioca soprattutto a Palazzo Madama e lì il Pd gode di soli 35 senatori, contro i 63 della Lega e i 54 di Forza Italia. Il Draghi 1 così, se non diventa un governo di centrodestra di sicuro non sarà “progressista”.

I dolori del giovane Zinga

Zingaretti si ritrova ormai in un cul-de-sac. L’apertura di Salvini lo costringe ad una scelta che non avrebbe mai voluto fare. Dovrà accettare il burbero leghista, l’uomo dei decreti sicurezza, a meno che non intenda rompere i rapporti con Mattarella. L’ipotesi di uno sgarbo simile al Colle è quasi inimmaginabile: mezzo Pd franerebbe come una slavina. Gli ex renziani già scaldano i muscoli. Zinga allora potrebbe astenersi, ipotizzare un appoggio esterno, ma consegnerebbe 209 miliardi di Recovery Plan a Berlusconi, Salvini e Renzi. Difficile. Non ha quindi altra scelta che ingoiare il rospo leghista, gettare alle ortiche il sogno giallorosso e adeguarsi all’ammucchiata parlamentare. “Dovranno fare i conti con la realtà”, sghignazzano i leghisti. In fondo Mattarella nel suo discorso è stato chiaro: il nuovo esecutivo dovrà essere “di alto profilo” e non dovrà “identificarsi con alcuna formula politica”. Se Salvini offre la sua mano, per quale motivo Draghi dovrebbe rifiutarla?

La centralità leghista

A taccuino chiuso diversi esponenti fanno inoltre questa considerazione. La Lega è in una botte di ferro perché senza Carroccio non è neppure detto che il Draghi 1 troverebbe la luce. In quel caso a ribollire sarebbe il Movimento 5 Stelle: accettare un governo con il Cav è già difficile con tutti dentro, figuratevi se l’alleanza “Ursula” dovesse concretizzarsi con l’approdo esclusivo della compagine forzista. “I grillini si spaccherebbero di netto”, sussurra una fonte leghista. Dipende da quanti senatori sbatterebbero la porta in faccia a Rousseau, ma a quel punto a trovarsi primo o secondo partito della maggioranza sarebbe addirittura Berlusconi: con tutti i posti di governo e sottogoverno che ne conseguono. Sembra troppo pure per i trasformismi ormai abituali di Di Maio&Co.

Dice Giacomo Moscarola, vicesindaco leghista di Biella: “Ora è Salvini a condurre i giochi”. E più sarà larga la maggioranza, da Leu alla Lega, minore sarà la durata dell’esecutivo e prima si tornerà alle elezioni (il vero sogno di Salvini). Tra i leghisti c’è chi scommette su un orizzonte temporale non oltre settembre, e chi invece immagina un’operazione politica di un anno: superare la crisi del Covid, eleggere Draghi al posto di Mattarella e “riportare la democrazia nel Paese”. Vedremo.

“La Lega è un partito militare”

Col coltello dalla parte del manico, il Capitano deve solo capire se il suo partito lo segue oppure no. Sia chiaro: nessuno metterà in discussione le scelte. Nonostante qualche mugugno non manchi, da Nord a Sud gli eletti sotto il vessillo di Alberto da Giussano serrano i ranghi. “Noi siamo un partito militare, un monolite”, ricorda Michele Mosca, consigliere regionale piemontese. “E con questa mossa intelligente ci poniamo come interlocutori seri, preparati e di governo sia al Paese che in Europa”. Meglio dare le carte del Recovery che “ritrovarsi a fare opposizioni con figure non qualificanti come Taverna o Di Battista”. Per Francesco De Santis, giovanissimo consigliere comunale a L’Aquila, “Salvini non poteva giocare nessun’altra partita: metà Lega è sulle posizioni di Draghi. Bisogna pur dare risposta al nostro popolo che è fatto di imprese, partite iva e produttori”. Insomma: la “svolta dorotea” del Capitano piace.

I dubbi degli elettori leghisti

L’unico dilemma resta Giorgia Meloni. Il suo “niet” a Draghi rischia di strappare gli elettori “duri e puri”, quelli che in passato hanno guardato al Salvini combattente. Un leghista a taccuini chiusi spiega che “la base è in confusione” perché “si vede un cambiare posizioni troppo rapido”. “Nelle chat interne fioccano i tweet di Salvini di un anno fa messi a confronto con l’attuale inversione di marcia – spiega – Abbiamo dimenticato la lezione Monti… Votare l’uomo delle banche è un problema per molti”. Che un po’ di subbuglio ci sia non lo negano neppure gli eletti in Regione, che più di tutti hanno il polso dell’umore dei sostenitori. “Alcuni sono convinti che Salvini stia facendo bene – continua Marchetti – l’altra metà invece è dubbiosa, ma stiamo spiegando loro le motivazioni e allora la gran parte finisce col condividere”. Ma perché fidarsi di chi ha salvato l’euro se volevamo abbattere la moneta unica? E poi come ci comporteremo con gli sbarchi di clandestini, vedi Ocean Viking? “Lo zoccolo duro sicuramente non comprenderà – ammette De Santis – ma in molti si aspettavano questa responsabilità”.

Sembra quasi che a rialzare la testa oggi sia quella fetta di elettorato (e di militanti) più vicina alla “vecchia” Lega che a quella degli ultimi tempi. I temi economici superano le politiche sugli sbarchi. “Va bene urlare contro l’immigrazione – spiega un esponente – ma poi devi dare risposte a chi il lunedì mattina si alza presto per andare a lavorare. Nelle chat c’è la sensazione diffusa che si voglia andare oltre la politica urlata per puntare alla concretezza. Siamo tornati finalmente a parlare agli elettori del Nord”.

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