«Io, capo della mafia nigeriana, ho ucciso Pamela»: un pentito inchioda Oseghale. Ora l’ex boss ha paura

Ora il collaboratore di giustizia, Vincenzo Marino, principale teste d’accusa nei confronti di Innocent Oseghale ­– il nigeriano a processo, accusato di aver brutalmente ammazzato Pamela Mastropietro e di averne poi fatto a pezzi il cadavere – ha paura e vuole ritrattare: e come confida la moglie scrivendo al quotidiano La Verità: «Ci hanno minacciato, abbiamo paura». Già, perché tra le rivelazioni rese note da Marino, per due settimane compagno di cella dell’imputato nigeriano nel carcere di Ascoli Piceno, e il voler ritrattare delle ultime ore, è intercorsa, a quanto riferito dalla consorte del collaboratore di giustizia, la decisione dello Stato di far venire meno il regime di protezione.

Omicidio Pamela, il collaboratore di giustizia Marino ora ha paura: non è più sotto protezione
E sì che la testimonianza di Marino, riportata dal settimanale Giallo e rilanciata anche da Dagospia, oltre che confermata oggi dalle colonne de La verità, parla chiaro e potrebbe davvero essere risolutiva: nel riferire infatti le confidenze confidategli da Oseghale, l’ex boss della mafia calabrese e attuale collaboratore di giustizia ha rivelato: «Mi ha detto di aver ucciso Pamela perché si era rifiutata di avere un rapporto sessuale a tre con lui e Desmond (Desmond Lucky era uno dei tre sospettati dell’omicidio Mastropietro, finito in carcere all’inizio delle indagini e poi rilasciato ndr), e aveva minacciato di raccontare tutto alla polizia – ha riferito Marino ai Carabinieri –. Non solo. In cella Oseghale mi ha anche confidato di essere uno dei capi della mafia nigeriana in Italia, incaricato di fare da collegamento tra la cellula criminale presente a Padova e quella di Castelvolturno, in provincia di Caserta. Lui aveva il compito di trovare nuovi adepti e di gestire lo spaccio e la prostituzione. Un giorno mi ha perfino detto: “Ti do centomila euro se testimoni che sai che Pamela è morta di overdose. I soldi arriveranno da Castelvolturno, tramite gli avvocati”».

Oseghale avrebbe detto a Marino: «Ti do centomila euro se testimoni che sai che Pamela è morta di overdose»
Una ricostruzione che gli inquirenti al lavoro sul caso hanno giudicato da subito, non solo attendibile, ma forse addirittura risolutiva per chiarire ruoli, responsabilità e veridicità processuale dell’intera vicenda omicidiaria. Una interpretazione dei fatti che, a questo punto, rischia di aggravare seriamente la posizione del 29enne nigeriano Oseghale che, come riferisce Giallo, è accusato di omicidio volontario aggravato, stupro, vilipendio, distruzione, occultamento di cadavere e violenza sessuale «ai danni di persona in stato di inferiorità psichica o fisica». Non solo: l’attendibilità della ricostruzione resa da Marino sta anche, secondo la magistratura, nell’aver riferito particolari sull’omicidio che solo l’assassino poteva conoscere: dettagli che, a questo punto, inchioderebbero l’imputato a precise responsabilità. Un quadro di colpevolezza, quello riferito dal collaboratore di giustizia, per cui n un secondo momento Oseghale avrebbe provato ad assicurarsi la complicità e il silenzio del suo interlocutore proponendogli centomila euro in cambio di una falsa testimonianza: «Devi dire di aver saputo che Pamela non è stata uccisa, ma che è morta di overdose!», avrebbe chiesto con una certa veemenza – e come riporta tra gli altri anche il sito del Mattino in queste ore – lo stesso Oseghale all’ex boss.

L’ex boss rivela: Oseghale mi ha confidato di essere uno dei capi della mafia nigeriana in Italia
E qui si aprirebbe un altro aspetto oscuro della vicenda su cui ora la magistratura dovrà far luce: da dove sarebbero mai potuti arrivare tutti questi soldi? E ancora, si chiede anche il Mattino nel suo servizio: a chi viene intestata la parcella dei due avvocati che si occupano della difesa del nigeriano, che risulta disoccupato e nullatenente? E qui si ritorna al punto di partenza: Oseghale, secondo quanto riferito sempre da Marino che con lui ha condiviso la cella per oltre due settimane ad Ascoli Piceno, Oseghale avrebbe sostenuto con lui di far parte, «anzi di essere uno dei capi, dei Black Cats», l’associazione criminale tra le più potenti ed efferate di tutta l’Africa; per conto della quale il nigeriano 29enne avrebbe detto di occuparsi «di prostituzione e traffico internazionale di droga». Rivelazioni che mal si assocerebbero alle dichiarazioni di innocenza di Oseghale che, nell’ammettere di aver smembrato il corpo ormai privo di vita della 18enne romana, continua a proclamarsi innocente sulla morte della giovane, che insiste essere stata provocata da un’overdose di droga…