“Il caos è democrazia”. Il M5s sta esplodendo ma Grillo è l’unico felice
Non è rammarico e neppure solo stanchezza. Quella c’è, ma si potrebbe anche superare. Nel quartier generale di Rousseau la parola che ricorre di più è consapevolezza.
Non è qualcosa di brutto. C’è un momento in ogni avventura in cui bisogna guardare le cose in faccia. Non mentirsi. Non prendersi in giro. Davide Casaleggio in questi giorni lo ripete con una certa serenità: il Movimento sta viaggiando verso il capolinea. Se non accade qualcosa di inatteso e straordinario la forza propulsiva dei Cinque stelle si andrà a spegnere. È la fine di quello che in sociologia Francesco Alberoni ha battezzato tanti e tanti anni fa come «stato nascente». È quel sentimento che ti porta a credere che davvero si possano cambiare le cose, mettendo il «cittadino» al centro della politica, magari spaccando il passato a colpi di «vaffa», raggiungendo un consenso rapido e quasi insperato. Solo che a un certo punto quell’onda va in risacca e se torna indietro troppo velocemente si smarrisce, non si riconosce. I «rivoluzionari» si guardano allo specchio e si accorgono di essere come gli altri, come quelli che c’erano prima. È quello che sta accadendo a loro.
Non è solo questione di sondaggi. Quelli che girano sono devastanti, ma c’è l’impressione di continuare a rammendare un vestito sempre più logoro. Il disorientamento è diffuso. Luigi Di Maio, capo politico, sente la sfiducia dei parlamentari e della base. È fragile e si avvita su se stesso. Il resto è sbrindellato. Non uno vale uno, ma tutti contro tutti.
Beppe Grillo tutto questo lo chiama caos. A lui piace. Lo fa sentire una sorta di Joker. «Il caos è la più grande forma di democrazia». È il sale del suo personaggio. Non ama la figura del vincente quieto e seduto. È uno che vuole stare sempre contro finché gli lasciano la voce. È come ama raccontarsi. Si sente come chi va incontro all’ultima battaglia. Non importa più vincerla o perderla, anzi c’è più grandezza nella sconfitta. È per questo che si è ripresentato, come un’apparizione, che non può però durare a lungo.
Nel caos però indica una direzione. Non è la stessa del capo politico. Di Maio guarda al centro, come se i Cinque Stelle fossero un pezzo di Dc, un frammento ancora abbastanza pesante da fare da ago della bilancia, scegliendo ogni volta da che parte far cadere il peso. Grillo no, Grillo libero da Gianroberto Casaleggio, che non sarebbe mai sceso a patti con il Pd, sente un richiamo della foresta. Dice che con il Pd ora si possono immaginare progetti bellissimi.
Solo che Beppe non pensa al Pd con la faccia di Zingaretti e neppure a un Pd di salotto e di governo. Quello può piacere a Conte. Il suo atto finale lo sogna epico, una ritirata gloriosa, un’Anabasi senofontesca. Ecco allora confluire ciò che resta dei grillini nella corrente dei movimenti giovanili. Grillo li vede immergersi nelle acque verdi dei discepoli di Greta, a piedi nudi per salvare la madre terra. Si accontenterebbe di farli bagnare nel flusso delle «sardine», sperando che non assomiglino troppo ai vari girotondi, più o meno rossi, più o meno viola, comunque evanescenti.
In ogni caso i Cinque stelle si disperderebbero in qualcosa di diverso. Affine, forse. Senza più però quella forza di attrazione in grado di sparigliare le carte, pescando voti tra i rancorosi, i disillusi, gli incazzati, i visionari, i cani sciolti, i non allineati.
Giovanni Favia per i grillini è un rinnegato, ma in un’intervista a L’Espresso dice quello che pensano molti elettori pentiti. «I tanti che si sono avvicinati al Movimento, lo hanno fatto pensando: è l’ultima volta, l’ultima speranza. Ebbene: hanno preso una fregatura tale che non torneranno chissà per quanto ad occuparsi di politica. Oggi c’è un buco nero spaventoso».