“Ha starnutito, fategli il test”. La follia sui bambini a scuola

 

Chi è genitore lo sa. Chi non ha figli invece provi a immaginare cosa significa dover gestire uno, due o magari anche tre figli al tempo del Covid. Prima il lockdown, poi il distanziamento, infine il ritorno a scuola.

Di certezze alle famiglie italiane il governo, a parte i banchi monoposto, ha dato un po’ pochino. E dopo due settimane in aula, mamme e papà lottano contro il caos dei tamponi. Lungo la penisola le storie si sommano fino a raggiungere casi surreali. “A scuola di mio figlio – ci racconta Elena – Hanno telefonato ad una madre e attivato la procedura del tampone perché il bimbo aveva solo starnutito. È ridicolo”.

Che il tracciamento dei contagi sarebbe stato un problema era noto da tempo. Ad oggi ci sono 116 istituti chiusi e quasi 700 quelle in cui si è verificato almeno un caso di Covid-19. Ma il problema maggiore sono i casi sospetti, le febbri momentanee o i normali raffreddori stagionali. Le scuole vogliono un certificato di non infezione per tornare al banco, i pediatri possono firmarlo solo in presenza di un tampone. E così i bambini non appena producono un po’ di moccio sono costretti a rimanere a casa in attesa del risultato del test. Con i tamponi molecolari, quelli naso-faringei, la trafila è lunghissima: un giorno per la visita del pediatra, altri due almeno (in base alla Regione) per fare il test e 24-48 ore per il risultato. Alla fine il bimbo deve restare a casa per quasi una settimana, sconvolgendo la vita lavorativa delle famiglie. Ieri il ministero, ottenuto il via libera del Cts, ha approvato l’uso dei test antigenici (detti “rapidi”) che dovrebbero accorciare i tempi (il risultato arriva entro il 15 minuti, anche se è meno “sensibile”) ed evitare quarantene di massa. Ma la gara per acquistarne 5 milioni di pezzi è appena partita, dunque ci sarà ancora da attendere un po’.

Nel frattempo le famiglie pagano il prezzo (sociale) del ritardo. “Mio figlio attende il test da lunedì mattina – racconta Elena, che chiede l’anonimato – Il pediatra l’ha chiesto appena ho comunicato che aveva un po’ di raffreddore e qualche colpo di tosse. Il dottore non ci ha chiesto nulla, se avesse febbre, quanto importanti fossero i sintomi, da quanti giorni li avesse. Niente: tampone, e via”. Due giorni dopo il bimbo è ancora a casa, e con lui la madre. “Non mi hanno richiamato. E quando ho telefonato per avere informazioni ma hanno detto che era previsto per stamattina, senza avvertirmi. Dicono che potrebbero aver segnato sulla riga di mio figlio il tampone di un altro. Ci rendiamo conto? Andremo oggi, ma ci vorranno comunque altri due giorni per il risultato. Alla fine se ne starà a casa una settimana per un cavolo di tampone e sta pure benissimo! È assurdo”.

In Toscana, dove vive Elena, di situazioni simile se ne registrano a bizzeffe. Tra mamme circolano diversi aneddoti. “Il mio pediatra solo lunedì ha richiesto all’Asl 25 tamponi! E chissà quanti altri dottori hanno fatto lo stesso”. Ad una madre hanno telefonato, lei ha perso la chiamata per un impegno ed è ancora lì che attende. Un’altra ha dovuto portare la figlia a fare il test solo per colpa di qualche starnuto, sebbene sia allergica certificata. “Un pediatra – spiega – ha detto ad alcune mie amiche di non telefonargli se i figli hanno solo un raffreddore, altrimenti è costretto a attivare la procedura. Insomma: stare zitti, tenerli a casa e poi rimandarli a scuola con l’autocertificazione in cui dichiari che non hanno avuto sintomi compatibili col Covid”. Significa mentire, tecnicamente. Ma l’alternativa è consegnarsi mani e piedi ad circolo vizioso che potrebbe durare tutto l’anno, o almeno l’inverno. Avete idea di quante volte in un anno un bambino si ammala con febbricole, raffreddori vari e piccoli colpi di tosse?

C’è infine un ultimo problema, che i test “rapidi” non risolveranno. Sia quelli molecolari che quelli antigenici richiedono infatti l’utilizzo del tampone naso-faringeo, che è piuttosto invasivo. Soprattutto per i bambini. Filippo Festini, professore associato di Scienze Infermieristiche Generali, Cliniche e Pediatriche all’Università di Firenze, in una lettera al Quotidianosanità ha elencato alcuni dei rischi cui si va incontro: possibile rottura del tampone e inalazione, lesioni alla mucosa orale e faringea, traumi psicologici. L’eccesso di test richiesti, a volte senza “razionale clinico”, rischia quindi di trasformarsi in un boomerang. Anche se la risposta dovesse arrivare in 15 minuti.

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