Giovanni Brusca libero, fu lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci
Dopo anni di detenzione e un percorso complesso di collaborazione con la giustizia, Giovanni Brusca, noto come il “capomafia di San Giuseppe Jato” e responsabile di alcune delle stragi più sanguinose di Cosa Nostra, è ufficialmente tornato in libertà. La fine del suo regime di protezione e libertà vigilata, avvenuta a fine maggio, segna un momento di riflessione e di tensione nel Paese, tra il rispetto della legge e il peso della memoria collettiva.
Il suo nome è indissolubilmente legato alla strage di Capaci del 23 maggio 1992, quando, azionando il telecomando, fece saltare in aria l’autostrada nei pressi di Palermo, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Brusca, in carcere dal 1996, ha scontato 25 anni di pena, e dalla sua scarcerazione nel 2021 ha vissuto sotto sorveglianza speciale, grazie a un regime di protezione e libertà vigilata previsto per i collaboratori di giustizia.
La sua collaborazione con lo Stato, iniziata dopo un primo periodo di falso pentimento, ha portato a risultati importanti: decine di mafiosi catturati, meccanismi interni a Cosa Nostra ricostruiti, e un contributo decisivo alla lotta antimafia. Tuttavia, il suo passato di violenza e omicidi, tra cui il tragico caso del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido a soli 14 anni, continua a suscitare indignazione e dolore.
Quando Brusca venne scarcerato, nel maggio 2021, la reazione pubblica fu immediata e forte. Familiari delle vittime, associazioni, politici e magistrati espressero dubbi e sdegno, sottolineando come la responsabilità nella strage di Capaci e in altri delitti atroci non possa essere dimenticata o sottovalutata. La memoria di quei momenti terribili rimane viva, e per molti rappresenta un monito sulla complessità del rapporto tra giustizia, clemenza e verità.
Sotto protezione, ma senza più vincoli giudiziari, Brusca può ora muoversi liberamente, trasferito fuori dalla Sicilia e vivendo sotto falsa identità. La sua condizione attuale gli consente di lavorare, comunicare e spostarsi, nel rispetto delle regole del protocollo di protezione, ma senza i restrittivi obblighi di un tempo. Per lo Stato, ha esaurito ogni debito con la giustizia, grazie anche alla sua collaborazione che ha permesso di fare luce su molte dinamiche mafiose.
Eppure, il ritorno alla libertà di Brusca riaccende il dibattito sul senso della pena e sulla capacità dello Stato di conciliare verità e giustizia. Per molti, la sua uscita dal carcere rappresenta un paradosso inaccettabile: come può un uomo che ha premuto il tasto che ha ucciso Falcone e la sua scorta camminare oggi tra i cittadini liberi? La ferita di Capaci, così come quella di via D’Amelio, rimane aperta, simbolo di un dolore che non si è mai completamente rimarginato.
Il nome di Brusca continuerà a essere associato a uno dei momenti più oscuri della storia repubblicana, e sebbene abbia concluso il suo percorso giudiziario, la sua presenza nella memoria collettiva resta un monito e una sfida per la società.