Garlasco, Feltri difende Stasi: “Condannato solo perché era il fidanzato. Il vero assassino è libero”

Vittorio Feltri rompe il silenzio e torna a infiammare il dibattito sul caso. Con un editoriale pubblicato sulle colonne de Il Giornale, Feltri prende posizione netta, schierandosi a difesa di Alberto Stasi, condannato per l’omicidio della fidanzata. Un’analisi senza compromessi, in cui il giornalista non risparmia critiche feroci alla magistratura e ai media, accusati di aver costruito una condanna basata sul pregiudizio.

L’editoriale, un vero e proprio j’accuse, si apre con una domanda provocatoria: “Cosa hanno combinato i magistrati che hanno condannato Alberto Stasi dopo due assoluzioni in primo e secondo grado?”. Feltri, con la sua consueta schiettezza, mette in discussione l’operato di chi ha portato alla condanna definitiva di Stasi, sottolineando come le nuove indagini rappresentino un’ammissione implicita di un possibile errore giudiziario: “Gli inquirenti che oggi riaprono il caso lavorano con coraggio e amore di verità, ammettendo la possibilità di un errore madornale: hanno gettato in galera un ragazzo innocente, distruggendogli l’esistenza”.

Il focus dell’attacco di Feltri si concentra sull’assenza di un movente solido e sulla presunta “colpa” di Stasi: “Essere il fidanzato della vittima”. Il giornalista sostiene che il sistema giudiziario e mediatico si sia “sposato” con una tesi accusatoria per “comodità”, sacrificando la vita del giovane. “Per comodità si è sposata una tesi accusatoria che media e inquirenti hanno abbracciato, schiacciando la vita di Alberto”, scrive.

Il punto più controverso dell’intervento riguarda l’identità del vero assassino. Feltri, con una convinzione che traspare da ogni riga, afferma: “Io sono convinto fin dall’inizio che il vero assassino l’abbia fatta franca, non per aver compiuto il delitto perfetto, ma per via di un pregiudizio che ha accecato le indagini. Quando ti innamori di una teoria, perdi di vista la giustizia”. Un’accusa pesante, che solleva interrogativi sulla conduzione delle indagini iniziali.

In un momento in cui la Procura e i RIS sono impegnati in nuove perquisizioni, intercettazioni e nell’analisi di possibili nuove prove (tra cui un presunto martello ritrovato), Feltri lancia un monito chiaro e diretto: “L’errore iniziale non può diventare una catena perpetua”. Il giornalista chiama in causa la responsabilità di chi ha condotto le indagini e invita a un’analisi approfondita e obiettiva delle nuove evidenze.

L’articolo si conclude con un appello esplicito: “O si dimostra la sua colpevolezza con prove concrete o bisogna ammettere che siamo di fronte a uno dei più grandi errori giudiziari degli ultimi vent’anni”.

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