FRATELLI BIANCHI, LA NOTIZIA CHOC DAL CARCERE: COS’È SUCCESSO

Una morte spietata, crudele, quella de cuoco 21enne capoverdiano Willy Monteiro Duarte. Un omicidio che ha ricevuto parziale giustizia il 4 luglio, quando i giudici della Corte d’Assise di Frosinone hanno emesso la sentenza che ha condannato all’ergastolo i due fratelli Bianchi, Marco e Gabriele, disponendo una condanna a 23 anni per Francesco Belleggia e e 21 anni per Mario Pincarelli.

Una pronuncia acclamata, tra urla di gioia perché finalmente i colpevoli sono stati smascherati, alla presenza di Lucia e Armando, genitori della vittima, e della sorella di Willy, Mirella.

I due fratelli, esperti dell’arte marziale Mma, per 50 secondi, hanno picchiato senza sosta, ripetutamente, colpendo con calci e pugni il povero Willy che avrebbe avuto un’unica “colpa”.

Sapete quale? Quella di aver fatto da paciere, intervenendo in difesa di un’amico durante una banale discussione all’esterno di un locale. Nessuno mai avrebbe potuto immaginare che in pochi attimi l’esistenza del cuoco 21enne sarebbe stata stroncata.

Willy Monteiro non ce l’ha fatta, è morto  poco dopo l’arrivo al pronto soccorso ma i carabinieri, dopo solo 25 minuti dall’aggressione che si è rivelata fatale, hanno identificato e arrestato i quattro picchiatori, tutti residenti nel vicino paese di Artena. Il resto lo sappiamo, la loro sorta è stata decisa il 4 luglio.

Ora che per i fratelli Bianchi si sono spalancate le porte del carcere, cosa stanno facendo? Come trascorrono le giornate? Dal Corriere apprendiamo che i due sono divisi, in quanto Marco è recluso a Frosinone, mentre Gabriele a Rebibbia dove riceve le visite della compagna e ha potuto conoscere il figlio. Nei rispettivi penitenziari. si parla di “detenuti pienamente inseriti”. Un’immagine, quella dei due fratelli di Artena, responsabili dell’omicidio volontario di Willy Monteiro Duarte, che appare molto distante dai comportamenti che hanno adottato da ragazzi liberi, prima che per loro scattassero le manette.

Finora non c’è stato mai alcun gesto d’istigazione, mai un gesto che potesse far pensare ad una rissa, mai richieste. I due fratelli, questo trapela dai rispettivi carceri, curano il proprio spazio, si cucinano da soli con un fornelletto da campeggio, fanno l’attività sportiva consentita e compatibile con le restrizioni di un carcere.

Gabriele, durante uno dei colloqui carcerari, ha conosciuto il figlio, Aureliano, nato dalla sua relazione con Silvia Ladaga, la compagna. Per ora vivono così ma ovviamente per loro, col tempo, potrebbe aprirsi anche la possibilità di lavorare. Per dover di cronaca, Marco e Gabriele, condannati all’ergastolo in primo grado, attendono il secondo grado di giudizio. Un’immagine, quella dei due fratelli di Artena, ben diversa da quella che, prima della reclusione, hanno manifestato.

Un’immagine lontana dall’arroganza, dalla violenza, dal timore che incutevano. Non a caso sono stati responsabili, per la legge, del pestaggio mortale di Willy. La vita dei fratelli di Artena emerge da una conversazione in caserma da due ragazzi della comitiva che partecipò all’uccisione di Willy, Omar Shabani e Alessandro Di Meo.

Shabani dice: “Cugi’, parlamose chiaro no, cioè questi tenevano una vita un po’ accelerata no, facevano quello che facevano, mo senza dirlo però si sapeva quello che facevano, no?”, proseguendo, mentre Di Meo annuisce: “Magari quando.. quando issi (loro) erano in casa erano cazzi loro quello che facevano, però per dirti no, cioè un esempio stupido, no Alessa’, quando risciamo (usciamo) sempre insieme io e te, no…” Intanto mamma Simonetta, madre dei due Fratelli, li esorta a resistere, a tenere duro perché ” qua la cosa va per le lunghe”, facendo intendere che, fuori dal carcere, tutti hanno preso le distanze da loro.