Ecco lo statuto delle sardine (che non voglion farci vedere)

Sarà una “associazione che promuove, facilita e difende il dialogo e l’ascolto in tutte le relazioni umane, in qualsiasi ambito sociale, politico e istituzionale”. Un “gruppo di persone “che si riconosce nei valori della democrazia e dell’uguaglianza come espressione della responsabilità individuale basata sull’empatia, il pensiero critico e il rispetto dell’altro”.

Inizia così lo Statuto delle sardine, il documento che ha trasformato l’onda “spontanea” in una vera e propria associazione.

La crescita del movimento richiedeva un adeguamento giuridico, soprattutto per garantire trasparenza sulla gestione dei finanziamenti. A Roma la raccolta fondi online raggiunse 12mila euro e il denaro è stato prelevato “da uno dei responsabili delle Sardine di Roma, Stephen Ogongo” (quello dell’apertura a CasaPound). Ma per l’evento chiave del 19 gennaio a Bologna, a sette giorni dalle elezioni regionali, è prevista una spesa di 50mila euro per palco, impianto audio e luci, sicurezza. Con queste cifre, un semplice crowdfunding non basta più. Bisogna garantire un certo livello organizzativo. Per questo i vertici sardiniani hanno costituito l’associazione (con sede a Zola Predosa, in via Dante 3/C), scritto un “bellissimo statuto” e avviato la fortunata campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Ginger (oltre 63mila euro incassati in pochi giorni).

La registrazione è stata formalizzata “da più di una settimana”, anche se sul sito si precisa che “è attualmente in corso la messa a punto di tutti gli adempimenti” per registrare l’associazione al registro nazionale (Runts). Lo Statuto, però, non viene fornito online. “È di pubblico accesso”, spiegano. IlGiornale.it l’ha richiesto a Mattia Santori, ideatore e leader della sardine d’Italia. Per il momento ce ne ha mostrata solo una parte, il Titolo II. Avremmo voluto visionare tutte le 16 pagine, conoscere presidente, segretario e magari capire chi è il tesoriere che gestirà il bel gruzzoletto raccolto. Il capo-sardina, però, in questi giorni è fuori città e a quanto pare non riesce proprio a recuperare l’atto per farcelo leggere. “È tutto pubblico, devi fare credo un accesso agli atti non so dove”, dice. Lo faremo, certo. Ma ci vorrà del tempo. Ci sarebbe piaciuta però un po’ più di collaborazione e trasparenza, soprattutto da chi rivendica il “diritto dei cittadini ad essere correttamente informati” sulla base di “notizie vere e dati trasparenti”.

Secondo Il Fatto le cariche sarebbero “loro appannaggio” e nessuna sardina, neppure quelle ammesse all’assemblea di Roma, sarebbe stata invitata a candidarsi agli organi dirigenziali o a contribuire a scrivere lo Statuto. Poter leggere l’atto istitutivo ci sembrava il minimo per capirne di più. Se Santori è occupato, non ci sarà qualcun altro in grado di fornirci una copia del documento? I post su Facebook, in fondo, vengono regolarmente pubblicati. Le sardine biasimano le “fake news” e “la manipolazione dei dati e delle notizie”, ma poi – invece di inviarci lo statuto – preferiscono rimandare a un burocratico accesso agli atti. Tutto legittimo, per carità. Ma ci sembra poco coerente.

Per ora, comunque, non resta che accontentarsi delle briciole (qualora cambiassero idea, siamo pronti a riceverlo e studiarlo tutto). Nella premessa le sardine spiegano di credere “nel linguaggio della cultura, dell’arte, della creatività e della non violenza come fondamento e strumento di arricchimento di ogni forma di comunicazione e relazione”. Il contenuto non è molto diverso dal manifesto pubblicato qualche settimana fa e in parte comprende il programma declamato durante il sit in in piazza San Giovanni (anche se non appaiono mai le parole “antifascismo”, Lega o “antirazzismo”). Le sardine intendono “favorire un dialogo aperto tra società e istituzioni, tra cittadini e politica” grazie a “iniziative sociali, culturali artistiche, creative e ricreative”. Il tutto per “favorire lo sviluppo di una società pacifica e consapevole, fondata sulle persone e sulle relazioni umane” e “promuove la manifestazione non violenta della libertà di pensiero e di espressione”.

Non diventerà un partito. Lo Statuto specifica infatti che sarà solo “un ponte tra cittadini e la dimensione politica e istituzionale del Paese”. Un modo per coinvolgere “attraverso la attraverso la diffusione e la tutela dei propri valori, tutte le realtà territoriali, dalle piccole località fino ai grandi centri urbani”. L’obiettivo finale è quello di “creare le condizioni perché tutte le persone possano riconoscersi in quei valori universali comuni che sono alla base della democrazia e possano sentirsi parte di una comunità sociale estesa che trascenda la specificità delle bandiere e dei singoli pensieri politici, in favore di una società il più possibile partecipata e inclusiva”.