È allarme per il batterio killer: primi due malati in Lombardia

Milano – Sono stati curati e guariti i pazienti colpiti da infezione da Klebsiella pneumoniae NDM a Milano. Ricoverati all’IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano tra settembre e ottobre due pazienti avevano contratto l’infezione in Lombardia, altri due arrivavano da fuori regione.

Ma tant’è, dopo la trentina di decessi in Toscana per il batterio multiresistente, c’è allarme anche in Lombardia. La Klebsilla pneumoniae, infatti, viene definito anche «batterio killer», dal momento che è causa dei decessi nel 50 per cento dei casi. Si trova naturalmente nella mucosa intestinale, può provocare infezioni alle vie urinarie o polmoniti.

La sua arma? Grazie alla produzione dell’enzima carbapenemasi è resistente agli antibiotici, anche i cosiddetti «salvavita» (i carbapenemi) ad ampio spettro e molto potenti. «Il rischio per il futuro – spiega Andrea Gori, direttore dell’unità complessa di Infettivologia del Policlinico di Milano – sarà quello di compromettere interventi medici prioritari per la salute come i trapianti di organo, gli interventi chirurgici e l’assistenza ai pazienti critici in ambito intensivistico».

In particolare il ceppo NDM («New Delhi») resiste anche alla combinazione di farmaci. «L’abitudine impropria dei medici a prescrivere il farmaco – continua Gori – cioè quando non serve, con dosi sbagliate o per il patogeno errato è all’origine della resistenza. A questo si aggiunge il fatto che il 70 per cento degli antibiotici vengono utilizzati in ambito extramedico, in veterinaria e agricoltura». In sostanza ne mangiamo un’enorme quantità.

Questo batterio rappresenta una sfida anche per l’Europa. A gennaio 2017 l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha fatto un’ispezione in Italia da cui è emerso un quadro allarmante: siamo tra gli stati con più alti livelli di resistenza in assoluto. «Attualmente è in corso uno studio che ha come obiettivo la definizione delle caratteristiche microbiologiche, cliniche ed epidemiologiche delle infezioni da Klebsiella pneumoniae KPC nei maggiori ospedali lombardi – spiega il direttore del Reparto di Malattie infettive del Policlinico -. Nel 2018 sono stati identificati 1.125 pazienti con isolamento di Kp-KPC: 388 avevano un’infezione in atto, 787 pazienti erano stati contagiati. Nel 44% dei casi il decesso è stato definito conseguenza dell’infezione da ospedale».

Il problema è duplice: da un lato pazienti immunodepressi, trapiantati, sottoposti a terapie antibiotiche eccessive sono più esposti al rischio di contrarre l’infezione, veicolata durante i ricoveri nelle Rsa e nei reparti a bassa densità di cura. Le infezioni si diffondono per il mancato rispetto delle procedure di controllo e prevenzione delle infezioni, per altri versi si tratta di pazienti che devono essere messi in isolamento per evitare contagi. Questo genera spese extra per il sistema sanitario: aumentano i costi della gestione del paziente, si «chiudono» dei letti, si deve ricorrere a farmaci molto costosi. Esistono nuovi antibiotici che riescono per il momento a sconfiggere il batterio, da 150 euro a fiala. «Rappresentano l’ultima spiaggia – conclude Gori – per il costo e per il rischio che il batterio diventi immune».

Al Policlinico di Milano, che vanta una delle migliori terapie intensive d’Italia, in alcuni casi si ricorre all’ECMO, una tecnologia che «sostituisce la funzione polmonare», come spiega Antonio Pesenti, direttore del dipartimento di Rianimazione ed Emergenza urgenza. «Una sorta di polmone meccanico extra corporeo usato per trattare pazienti con insufficienza cardiaca o respiratoria acuta».