“Digiuno, ma solo per 16 ore al giorno”

Digiuno: se ne parla spesso durante cene e aperitivi. Tutti hanno un’opinione a riguardo e c’è chi sta pensando di farlo «perché la mia amica/collega/insegnante di yoga lo pratica e ne dice meraviglie». Magari non sempre, ma a momenti alterni. È un trend, forse un impazzimento generale, fatto sta che negli Usa (ma anche da noi ci sono numerosi segnali), tutti sono dediti al digiuno intermittente. Attori compresi: da Chris Hemsworth a Miranda Kerr, da Benedict Cumberbatch a Nicole Kidman. Sicuramente non per vocazione ascetica.

L’estrema frontiera della dieta è non mangiare, e detto così sembra lapalissiano. Eppure, basta parlare con gli adepti per capire che le motivazioni sono altre, tra benessere e desiderio di autocontrollo, necessità di un reset e lotta contro la sovralimentazione. Il tutto con l’ok della scienza, che sconsiglia però il fai da te e prescrive un controllo medico se si superano i due giorni di digiuno. Dei diversi modelli (c’è anche quello del guerriero!), il primo è il 5:2. Ovvero si mangia per cinque giorni e ci si astiene per due, anche non consecutivi. E in quei due giorni ci si limita a sole 500 calorie, fermo restando l’abbondante assunzione di liquidi: acqua e bibite anche gassate purché senza zucchero.

Ma il programma più noto e validato è il 16:8, ovvero si mangia in una finestra di tempo di otto ore e si digiuna per altre 16. Il che significa che se si cena alle sette di sera, per il pasto successivo bisogna aspettare fino alle 12 del giorno dopo. Nel mezzo un sacco di tè verde, caffè con moderazione, e poi acqua, acqua, acqua. Con parecchi benefici ben documentati: per esempio l’abbassamento dei livelli di zucchero nel sangue, del colesterolo, della pressione e più in generale dei processi infiammatori. Oltre a un bel balzo in avanti del metabolismo.

L’altro vantaggio del fasting è del tutto pratico: a differenza delle diete tradizionali non serve pesare, modificare, togliere o mettere nei piatti, scocciatura che chiunque sia stato a dieta ben conosce. E al ristorante non serve più chiedere menu senza latte, uova, maionese, formaggio, zuccheri e chissà che altro: basta non andarci proprio, al ristorante. L’assenza è più semplice e più facilmente gestibile della moderazione, spiegano i dietologi che riscontrano maggiori successi tra i pazienti a digiuno rispetto a quelli a dieta tradizionale.

Sedici ore senza cibo in fondo sono alla portata di tutti, con meno rischi di fallimento e di débâcle dell’autostima. In una società in cui ci si sente spesso in balia di eventi fuori dal nostro controllo, il digiuno volontario sembra essere la massima prova di tenacia: sono così determinato che posso controllare una delle pulsioni primarie, la fame. È zen, è potente, è empowering o, come dice Brad Pilon, guru del fitness autore del libro Eat Stop Eat, «è l’opportunità di sperimentare piccole vittorie nell’arco della settimana o del mese». E sentirsi vincenti almeno ogni tanto, si sa, piace a tutti.

Effetti collaterali: longevità. Anche Luigi Fontana, accademico tra i massimi esperti di digiuno e caloric restriction, conferma l’efficacia del modello 16:8. In calo non solo il grasso, ma anche infiammazioni croniche, glicemia, colesterolo, pressione alta.

Dopo lunghi studi sui sorprendenti effetti antietà del digiuno sul cuore e il cervello dei roditori, Mark Mattson, ricercatore senior del National Institute on Aging degli Stati Uniti, è stato tra i primi a caldeggiare sin dal 2005 nuove ricerche sugli effetti del fasting sull’uomo. In fatto di linea ma anche di invecchiamento.