Così Ratzinger benedice i muri: “Proteggono e aprono solo al bene”
Abbattere ogni muro ed ogni confine per costruire una società aperta, accogliente e multiculturale: è il diktat della contemporaneità.
Ma Joseph Ratzinger, che non è un uomo del passato come si vorrebbe far credere, aveva indicato un’altra strada. Quella in cui anche le barriere svolgono un ruolo: quello di declamare una serie di “no”, che per il cattolicesimo sono propri della funzione paterna. La stessa che riconduce l’uomo alle radici, dunque alla rettitudine morale. Il Papa emerito, in una delle sue omelie, aveva esordito così: “La Chiesa ha mura. Il muro da una parte indica verso l’interno, ha la funzione di proteggere, raccoglierci e condurci l’uno verso l’altro”. Toni differenti da chi ritiene che i limiti esistano solo per essere messi in discussione.
La riflessione del “mite teologo” di Tubinga, che è stata pubblicata questa mattina da La Verità, è datata ma esula dal nazionalismo: Benedetto XVI, al massimo, è un conservatore. E infatti, anche nel testo in oggetto, ha posto al centro l’essere umano, personificando la mansione filosofico-esistenziale delle fortificazioni: “…i muri in ultima analisi siamo noi stessi e lo possiamo essere solamente nella misura in cui siamo pronti a lasciarci squadrare come pietre…”. L’economia del dono, approfondendo sempre quanto esposto dall’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, può anche riguardare l’elevazione di mura interiori: Ratzinger ha ragionato sul fatto che, divenendo mura, l’uomo possa ergersi come edificio, per gli altri e per se stesso. Benedetto XVI ha pure annotato come nel corso del Concilio Vaticano II, al quale ha dato, pur essendo giovanissimo, un essenziale contributo teologico-dottrinale, la tendenza sia stata quella di allontanarsi da questa visione sulla necessità di frontiere. La città di Dio, quella di agostiniana memoria, ne ha invece bisogno, tenendo a mente pure una finalità di protezione.
“Non può entrare neppure la bugia – ha continuato Joseph Ratzinger – che distrugge la fiducia e rende impossibile la comunità. Non possono entrare l’odio e l’avidità che feriscono l’umanità”. Queste sono le fattispecie di base per cui la Chiesa cattolica, nel corso della sua storia, ha sollevato cinte murarie. Ma c’è spazio pure per le infiltrazioni. Perché se è vero che tramite le mura si opera una resistenza verso quello che non deve accedere, è vero pure che le barriere sono dotate di porte, che devono aprirsi nel momento in cui a bussare è “tutto ciò che è buono”. Ogni muro è insomma un “no”, che è al contempo in grado di declinarsi in un “sì”.
Prendendo in considerazione un argomento politico dell’emerito, è possibile operare attraverso un esempio: dire “no” alla Turchia in Europa chiude alla possibilità che Vecchio Continente e mondo arabo si uniformino, ma apre alla realizzazione di due macrocosmi culturali e confessionali in grado di triangolare, rispettando le reciproche diversità, ma nutrendo di speranza l’intero consesso geopolitico. Che pare diverso dall’affermare che “chi costruisce muri non è cristiano”.